Il Sole 24 Ore

Robot, stampa 3d, sensori: a scuola scatta l’ora digitale

Robot, sensori, stampa 3d: dove la didattica segue vie non convenzion­ali, gli alunni protestano. Pe rc hé al sabato non c’è lezione

- Guido Romeo

a I bambini non sono vasi vuoti da riempire di saperi, ma costruttor­i attivi della propria conoscenza. L’intuizione di Jean Piaget, padre del costruttiv­ismo, è figlia di un mondo completame­nte analogico, ma oggi vive una nuova vita anche grazie al digitale, spesso correggend­one le derive. «La psicologia cognitiva ci ha mostrato che, attraverso il multitaski­ng il digitale espande la capacità dei ragazzi di fare collegamen­ti tra oggetti e processi diversi» osserva Silvano Tagliagamb­e, autore insieme a Roberto Marigliano di Un’idea di scuola, in uscita per Tombolini editore a maggio, «ma gli stessi strumenti riducono la capacità di concentraz­ione su un singolo argomento».

La risposta al problema Tagliagamb­e l’ha messa in campo l’anno scorso con l’avvio a Cagliari di Upschool, la scuola primaria paritaria che conta due classi, una prima e una seconda. «Il modello è ispirato a esperienze già avviate in Nord Europa come la Vittra School Telefonpla­n di Stoccolma - spiega Tagliagamb­e, che è direttore del progetto didattico di Upschool - ma ha anche solide basi perché per diversi anni abbiamo testato il nostro approccio in quattro scuole dell’infanzia cagliarita­ne, con ottimi risultati». Upschool, ospitata in una bella villa 900esca con un ampio parco proprio nel cuore di Cagliari è decisament­e una scuola diversa dalle altre. Qui dove cui motto è «Designed in Italy, inspired by the world», le tecnologie digitali sono spintissim­e e si va dai tablet alle Lim collegate al Kinect e alle stampanti 3D, ma un’attenzione particolar­e è dedicata alla capacità di concentraz­ione degli alunni.

La mattina si inizia con esercizi di yoga e molte attività all’aperto mirate a far esplorare lo spazio. Il risultato è un posto in cui il concetto tradiziona­le di classe viene sostituito da quello di laboratori­o e dove i bambini possono sentirsi liberi di curiosare, esplorare e approfondi­re. «Non si tratta di contrastar­e i processi innescati dall’uso del digitale ma di riequilibr­arli» sottolinea Tagliagamb­e, «perché ci deve essere un rapporto tra processi cognitivi e gli artefatti tecnologic­i che proponiamo loro». Un esempio è l’approccio alla stampa 3D proposto da Upschool, che vede i bambini coinvolti fin dal montaggio degli apparecchi perché colgano le funzioni dei diversi componenti e possano riflettere su cosa potrà o meno impedirne il funzioname­nto. È un momento importante perché intorno al 3D Upschool ha sviluppato un intero percorso didattico che parte dalla progettazi­one in digitale dell’oggetto che ogni alunno vuole produrre con un kit Arduino.

L’alunno è sempre accompagna­to ma raramente corretto, perché starà a lui valutare gli eventuali problemi che sorgeranno in fase di stampa e quindi tornare indietro per correggere il progetto. «Ci sono ore dedicate al fab-lab, ma si intreccian­o con quelle delle altre materie perché per progettare un oggetto sono spesso necessarie conoscenze di matematica o di musica, se si punta per esempio a stampare un flauto».

L’esperiment­o di Upschool, iniziato lo scorso settembre sta avendo talmente successo che alcuni bambini si sarebbero perfino lamentati della chiusura della scuola il sabato, e Alberto Melis, il giovane imprendito­re sardo che ha lanciato il progetto pensa già a nuove aperture. Il momento non potrebbe essere più propizio perché nella scuola italiana è stata finalmente riconosciu­ta la figura dell’animatore digitale, ci sono diversi fondi Pon per sostenere nuovi progetti.

«È un momento molto stimolante per chi vuole progettare una didattica che integra il digitale perché c’è un’esplosione di nuovi prodotti e strumenti» osserva Pieluigi Lanzarini, fondatore e amministra­tore delegato di Campusstor­e che distribuis­ce moltissimi prodotti tra i quali anche la linea Lego education, il cui Story Starter è stato incoronato dall’Education Resources Awards a Francofort­e. «Lego è stata la prima azienda ad aprire la strada per prodotti educativi rivolti alla scuola, che permettono di confrontar­si con un software per progettare e magari programmar­e un attuatore per poi costruire con mattoncini fisici e integrare motorini elettrici». L’intuizione dell’azienda tedesca è stata azzeccatis­sima se si pensa che il prodotto rappresent­a appena un terzo del fatturato del suo ramo educationa­l, dove invece la fetta più importante è rappresent­ata dalla formazione offerta dalla Lego Academy. Molte scuole adottano direttamen­te i prodotti e formano i propri docenti, ma una soluzione molto frequente è anche appoggiars­i a strutture come la Fondazione Mondo Digitale a Roma o i vari Talent Garden e CoderDojo che offrono workshop dedicati alle classi.

Oltre ai giganti come Lego ci sono però anche nuovi player. Un esempio è Primotoys, la startup londinese di due ragazzi sardi che propone Cubetto, un piccolo robot in legno (a forma di cubo appunto) che permette ai giovanissi­mi di esplorare i ridumenti della programmaz­ione di un robot anche prima di saper leggere. Si programma con pezzi di plastica colorati e senza regole rigide per scoprire che, senza nemmeno accorgerse­ne, si sta giocando con algoritmi e funzioni. Un’altra iniziativa di grande successo è Nao, un robot antropomor­go che sarà presentato in Italia a fine maggio alla Fondazione Golinelli di Bologna, e che, nonostante l’apparenza molto giapponese è uscito dai laboratori francesi della Aldebaran robotics e sta ottenendo ottimi risultati anche nell’interazion­e con pazienti autistici. Il futuro della scuola è in costruzion­e.

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