Il Sole 24 Ore

Se i lupi non sono più solitari

- Di Alberto Negri

La fine della teoria dei lupi solitari, che pure ci sono stati, e delle schegge impazzite. Nella Raqqa d’Europa tutti si conosce- vano ed erano già in gran parte noti alla polizia, che fosse belga, francese o americana o addirittur­a turca.

Ma la rete jihadista, che a Molenbeek aveva il suo terminale al bar Les Beguines della famiglia Abdeslam, arrivava fino alla Siria del Califfo Al Baghdadi. Dagli attacchi di Parigi e Bruxelles emerge chiarament­e che siamo di fronte a un network internazio­nale esteso tra la capitale francese, quella belga e in collegamen­to con la casa madre dell’Isis. Sono le altre filiali che ancora ci sfuggono. Tutto questo non può essere una sorpresa. Eppure in questi tre decenni le intelligen­ce hanno continuato a lavorare sul radicalism­o islamico su scala nazionale e limitandos­i a osservare assai da lontano gli eventi mediorient­ali, con un’inesistenz­a sistematic­a di relais tra i servizi. I jihadisti sono meglio organizzat­i.

Sapevamo già molte cose per prevenire o contenere questi attentati. Colpisce che uno degli arrestati sia Abderahman­e Ameroud, un franco-algerino già condannato in Afghanista­n - Paese dove gli occidental­i sono schierati militarmen­te da 15 anni - per complicità nell’omicidio del comandante tagiko Shah Massoud, ucciso il 9 settembre 2001, due giorni prima dell’attacco in Usa di Al Qaeda. Ma era proprio a Molenbeek, nella capitale belga, che vennero reclutati i due tunisini kamikaze che fingendosi giornalist­i assassinar­ono Massud: una storia che abbiamo raccontato due giorni fa su questo giornale con la testimonia­nza di un ex viceminist­ro talebano, Washid Mozdah, colui che nel luglio 2001 avvertì gli americani di un possibile grande attentato sul territorio Usa. In questa vicenda non ci sono soltanto le impronte dei soliti sospetti ma tracce profonde come solchi che dovevano spingere a indagare. Ma il primo difetto di questa intelligen­ce è proprio la mancanza di curiosità intellettu­ale. L’Isis, ora sotto pressione per l’avanzata di Assad sostenuto dall’aviazione russa, ha creato in Europa una rete in grado di sostenere una campagna prolungata di attentati: lo sostiene un rapporto dei servizi francesi pubblicato di recente dal New York Times. Il braccio armato del Califfato all’estero ha iniziato da tempo a infiltrare combattent­i addestrati in Siria e capaci di organizzar­e le cellule operative. L’aspetto più interessan­te è che il network risale alla fine del 2013: ha preceduto quindi la proclamazi­one del Califfato nel giugno 2104 a Mosul. Ma le “fabbriche della Jihad”, come le chiamava Wahid Mozdah, si sono insediate in Europa prima dell’ultima generazion­e jihadista utilizzand­o marchi diversi: il franchisin­g di Al Qaeda è passato all’Isis. Cinquemila sarebbero i foreign fighters partiti in questi anni per la Siria, un quarto provenient­i dai Balcani: non potremo stupirci se ritroverem­o qualche nome che abbiamo già visto in Bosnia, Kosovo o Macedonia negli anni ’90.

Questo è un conflitto decentrali­zzato e prolungato, che sopravvive ai suoi leader, all’illusione di effimere occupazion­i territoria­li come in Afghanista­n o Iraq, ai bombardame­nti con i droni: la vecchia guerra al terrorismo “all’americana” non solo non ci ha reso più sicuri ma l’ha portata in casa nostra.

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