Boom di liquidità sugli emergenti
In due settimane gli investitori smobilitano 65 miliardi parcheggiati nei fondi monetari
Quando infuria la tempesta meglio stare liquidi. Non è un caso che quando la volatilità ha colpito i mercati finanziari nella prima parte dell’anno i grossi gestori abbiano incrementato la quota di cash in portafoglio portandola, secondo i calcoli di Bank of America Merrill Lynch, in media al 5,6 per cento. Ai massimi dal 2001. Ora che però la volatilità si è nettamente ridimensionata e l’appetito per il rischio è tornato una fetta importante di queste risorse è finita sul mercato e la quota di cash questo mese è scesa al 5,1 per cento. E un ulteriore segnale in questo senso arriva anche dai dati sui flussi nei fondi di investimento che segnalano importanti volumi di uscita da quello che è in genere un classico parcheggio della liquidità: i fondi monetari. Epfr Global segnala che nelle ultime due settimane questi fondi hanno registrato riscatti netti per ben 64 miliardi di dollari.
Dove è stata indirizzata questa liquidità? Il segnale inequivocabile che emerge dagli indici di mercato e dai dati sui flussi di capitale nei fondi è che gli investitori siano andati a caccia di saldi. Chi ha beneficiato di più del recente rimbalzo è infatti chi più di tutti dai mercati era stato punito nell’ultimo anno e mezzo: materie prime e Paesi emergenti. Le due classi di investimento in assoluto più svalutate.
Dai minimi dello scorso 21 gennaio l’indice Msci Emerging Markets ha registrato un balzo del 18% facendo nettamente meglio della media delle Borse globali (+8,3% la performance dell’Msci World). L’indice della Borsa brasiliana, una delle più penalizzate dalla fuga di capitali che ha travolto i Paesi emergenti nell’ultimo anno e mezzo, ha messo a segno uno spettacolare balzo del 31 per cento. Il Real ha guadagnato il 12% nel cambio con il dollaro. Il rublo, altra valuta estremamente penalizzata nell’ultimo anno, addirittura il 20. Il paniere delle principali valute dei Paesi in via di sviluppo (Msci Em currency) ha recuperato il 5,1 per cento.
Il crollo subito nell’ultimo anno e mezzo dai mercati emergenti (dai massimi dell’estate 2014 ai minimi di inizio anno l’indice azionario ha perso il 33%) è strettamente connesso all’apprezzamento del dollaro (in vista del rialzo dei tassi Fed) e al collasso delle materie prime (dalla cui esportazione dipendono i destini di molte delle eco- nomie in via di sviluppo). Non è un caso quindi che il rally degli emergenti sia coinciso con la ripresa del petrolio (+43,75% dai minimi dell’ 11 febbraio), delle materie prime in generale (l’indice Goldman Sachs commodity ha guadagnato il 13,5%).
Dietro queste performance positive c’è la benzina della liquidità tornata ad affluire su queste classi di investimento. I fondi azionari emergenti, che nell’ultimo triennio hanno subito una pesantissima emorragia di riscatti (oltre 164 miliardi di dollari), nelle ultime quattro settimane hanno registrato flussi positivi di capitale. Anche sulle commodities c’è stato un netto riposizionamento. Da inizio anno i fondi specializzati in materie prime hanno registrato 14,4 miliardi netti di flussi in entrata con un aumento delle masse gestite dell’11,5 per cento.
Il rimbalzo delle commodity ha risollevato infine le sorti dei disastrati settori minerario e petrolifero che, dai minimi di inizio anno, hanno recuperato rispettivamente il 17 e il 15% del loro valore. Se poi si cercano le performance stellari bisogna andare a guardare le performance delle società di questi settori dei Paesi emergenti. Un nome su tutti: Petrobras. Le azioni del colosso petrolifero brasiliano dai minimi di gennaio hanno guadagnato il 101 per cento.
Viene da chiedersi: quanto è solido questo rimbalzo? Si tratta di un riposizionamento tecnico di breve termine oppure di una scommessa che può valere anche sul medio-lungo termine? Dare una risposta non è facile.Dall’ultimo sondaggio tra i gestori di Bank of America Merrill Lynch è emerso che il 14% degli investitori sostiene che il principale rischio che corrono i mercati in questa fase sia quello di un’ondata di insolvenze nel settore energetico e nei Paesi emergenti. Insomma il rischio c’è. Resta da capire se le attuali valutazioni di queste asset class lo incorporano in misura adeguata oppure se i crolli dell’ultimo anno e mezzo sono stati eccessivi per cui questo rimbalzo abbia solide motivazioni.
Resta il fatto che i destini di queste classi di investimento sono legati a doppio filo alle quotazioni del dollaro e alle mosse della Federal Reserve. L’apprezzamento del biglietto verde contestuale alla fine del Quantitative easing e alla graduale normalizzazione della politica monetaria Usa ha avuto un ruolo determinante nell’innescare il loro crollo. E non è un caso che il loro recente rally sia andato di pari passo con la debolezza del biglietto verde (dai massimi di fine gennaio ai minimi toccati il 17 marzo il dollar index ha perso il 3,3%). Così come non è un caso che il rimbalzo della valuta Usa di quest’ultima settimana sia coinciso con un’ondata di storni su commodities e mercati emergenti.
ROTAZIONE DI PORTAFOGLIO Dopo la fuga di capitali degli ultimi anni gli investitori si sono riposizionati sulle classi di investimento più svalutate a prezzi di saldo