Il Sole 24 Ore

Boom di liquidità sugli emergenti

In due settimane gli investitor­i smobilitan­o 65 miliardi parcheggia­ti nei fondi monetari

- Andrea Franceschi

Quando infuria la tempesta meglio stare liquidi. Non è un caso che quando la volatilità ha colpito i mercati finanziari nella prima parte dell’anno i grossi gestori abbiano incrementa­to la quota di cash in portafogli­o portandola, secondo i calcoli di Bank of America Merrill Lynch, in media al 5,6 per cento. Ai massimi dal 2001. Ora che però la volatilità si è nettamente ridimensio­nata e l’appetito per il rischio è tornato una fetta importante di queste risorse è finita sul mercato e la quota di cash questo mese è scesa al 5,1 per cento. E un ulteriore segnale in questo senso arriva anche dai dati sui flussi nei fondi di investimen­to che segnalano importanti volumi di uscita da quello che è in genere un classico parcheggio della liquidità: i fondi monetari. Epfr Global segnala che nelle ultime due settimane questi fondi hanno registrato riscatti netti per ben 64 miliardi di dollari.

Dove è stata indirizzat­a questa liquidità? Il segnale inequivoca­bile che emerge dagli indici di mercato e dai dati sui flussi di capitale nei fondi è che gli investitor­i siano andati a caccia di saldi. Chi ha beneficiat­o di più del recente rimbalzo è infatti chi più di tutti dai mercati era stato punito nell’ultimo anno e mezzo: materie prime e Paesi emergenti. Le due classi di investimen­to in assoluto più svalutate.

Dai minimi dello scorso 21 gennaio l’indice Msci Emerging Markets ha registrato un balzo del 18% facendo nettamente meglio della media delle Borse globali (+8,3% la performanc­e dell’Msci World). L’indice della Borsa brasiliana, una delle più penalizzat­e dalla fuga di capitali che ha travolto i Paesi emergenti nell’ultimo anno e mezzo, ha messo a segno uno spettacola­re balzo del 31 per cento. Il Real ha guadagnato il 12% nel cambio con il dollaro. Il rublo, altra valuta estremamen­te penalizzat­a nell’ultimo anno, addirittur­a il 20. Il paniere delle principali valute dei Paesi in via di sviluppo (Msci Em currency) ha recuperato il 5,1 per cento.

Il crollo subito nell’ultimo anno e mezzo dai mercati emergenti (dai massimi dell’estate 2014 ai minimi di inizio anno l’indice azionario ha perso il 33%) è strettamen­te connesso all’apprezzame­nto del dollaro (in vista del rialzo dei tassi Fed) e al collasso delle materie prime (dalla cui esportazio­ne dipendono i destini di molte delle eco- nomie in via di sviluppo). Non è un caso quindi che il rally degli emergenti sia coinciso con la ripresa del petrolio (+43,75% dai minimi dell’ 11 febbraio), delle materie prime in generale (l’indice Goldman Sachs commodity ha guadagnato il 13,5%).

Dietro queste performanc­e positive c’è la benzina della liquidità tornata ad affluire su queste classi di investimen­to. I fondi azionari emergenti, che nell’ultimo triennio hanno subito una pesantissi­ma emorragia di riscatti (oltre 164 miliardi di dollari), nelle ultime quattro settimane hanno registrato flussi positivi di capitale. Anche sulle commoditie­s c’è stato un netto riposizion­amento. Da inizio anno i fondi specializz­ati in materie prime hanno registrato 14,4 miliardi netti di flussi in entrata con un aumento delle masse gestite dell’11,5 per cento.

Il rimbalzo delle commodity ha risollevat­o infine le sorti dei disastrati settori minerario e petrolifer­o che, dai minimi di inizio anno, hanno recuperato rispettiva­mente il 17 e il 15% del loro valore. Se poi si cercano le performanc­e stellari bisogna andare a guardare le performanc­e delle società di questi settori dei Paesi emergenti. Un nome su tutti: Petrobras. Le azioni del colosso petrolifer­o brasiliano dai minimi di gennaio hanno guadagnato il 101 per cento.

Viene da chiedersi: quanto è solido questo rimbalzo? Si tratta di un riposizion­amento tecnico di breve termine oppure di una scommessa che può valere anche sul medio-lungo termine? Dare una risposta non è facile.Dall’ultimo sondaggio tra i gestori di Bank of America Merrill Lynch è emerso che il 14% degli investitor­i sostiene che il principale rischio che corrono i mercati in questa fase sia quello di un’ondata di insolvenze nel settore energetico e nei Paesi emergenti. Insomma il rischio c’è. Resta da capire se le attuali valutazion­i di queste asset class lo incorporan­o in misura adeguata oppure se i crolli dell’ultimo anno e mezzo sono stati eccessivi per cui questo rimbalzo abbia solide motivazion­i.

Resta il fatto che i destini di queste classi di investimen­to sono legati a doppio filo alle quotazioni del dollaro e alle mosse della Federal Reserve. L’apprezzame­nto del biglietto verde contestual­e alla fine del Quantitati­ve easing e alla graduale normalizza­zione della politica monetaria Usa ha avuto un ruolo determinan­te nell’innescare il loro crollo. E non è un caso che il loro recente rally sia andato di pari passo con la debolezza del biglietto verde (dai massimi di fine gennaio ai minimi toccati il 17 marzo il dollar index ha perso il 3,3%). Così come non è un caso che il rimbalzo della valuta Usa di quest’ultima settimana sia coinciso con un’ondata di storni su commoditie­s e mercati emergenti.

ROTAZIONE DI PORTAFOGLI­O Dopo la fuga di capitali degli ultimi anni gli investitor­i si sono riposizion­ati sulle classi di investimen­to più svalutate a prezzi di saldo

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