Paura Brexit, la sterlina scende ai livelli del 2009
Mentre l’economia br itannica «corre» più di quella dell’area euro e l’inflazione del Paese è in moderata accelerazione
Si sta rivelando un gioco pericoloso. La prospettiva di un’uscita del Regno Unito dalla Ue, il Brexit, sul quale i britannici voteranno il 23 giugno, sta inquietando gli investitori, e sta rivelando, al tempo stesso, tutte le ambiguità dell’iniziativa di David Cameron.
Non è azzardato ipotizzare che dietro la forte flessione della sterlina ci siano anche le preoccupazioni degli investitori. Il cambio effettivo della valuta britannica ha perso da ottobre quasi il 9%, ed è tornato a livelli di fine 2013. Una buona parte del calo è legato alla comprensibile flessione nei confronti del dollaro: i tassi Usa sono destinati a salire, più o meno lentamente, mentre il rialzo britannico è stato congelato, prima per le difficoltà dell’economia globale, poi per non interferire troppo con il referendum (che alla Banca centrale, comunque, non piace). Le diverse prospettive dei tassi in Gran Bretagna e Usa, tenuto conto del cambiamento di direzione della politica monetaria - qual- che mese fa si pensava che la Bank of England (BoE) potesse iniziare la sua “stretta” prima della Fed - non chiariscono però del tutto il ritorno della sterlina ai livelli del 2009.
Si spiega ancora meno la flessione verso l’euro. La sterlina è tornata ai livelli del 2014, con una flessione dell’11% e più. Eppure la Bce ha portato i tassi sui depositi al -0,40% e - sia pure con le consuete ambiguità - è pronta a fare di più; mentre la BoE ha escluso in ogni caso tassi negativi. Le due economie sono inoltre su percorsi differenti: la crescita britannica, sia pure in moderato rallentamento, è più brillante di quella di Eurolandia, mentre l’inflazione sembra in lenta accelerazione.
L’incertezza sull’esito del voto è forse l’anello mancate. Gli ultimi sondaggi, che precedono gli attacchi di Bruxelles, segnalano un vantaggio minimo per l’uno 0 l’altro schieramento. Il partito dell’«no» alla Ue appare al di sopra della media di lungo periodo e sembra quindi aver conquistato qualche indeciso di più degli avversari. Del resto, come nota Stephen L. Jen di Slj MacroPartners, la propaganda del “sì” somiglia a un «Continuaimo-unmatrimonio-infelice-perché-vivere-di-nuovo-da-soli-ci-fa-paura»: un messaggio in negativo, quindi, poco efficace. Gli attentati di Bruxelles, come in altri paesi, possono inoltre alimentare il desi- derio di isolamento, da sempre particolarmente forte in un paese i cui confini sono le barriere marittime.
Al momento, per Cameron, la scommessa appare comunque vincente: grazie al referendum ha strappato nuove condizioni, più favorevoli, all’Unione europea e vede la valuta calare più delle altre in una fase in cui tutti desiderano, e spesso tentano, un deprezzamento del cambio. Il costo è per ora una forte incertezza - che secondo la banca centrale può frenare la domanda - il “blocco” della politica monetaria, e la spaccatura del partito. La vittoria del «no» è però possibile: le probabilità sono aumentate negli ultimi tempi. La scommessa dei conservatori potrebbe quindi rivelarsi fondata su un calcolo cattivo perché di breve periodo, basato sui sondaggi. A maggio 2015, quando l’European Union Referendum Act fu presentato alla Camera dei Comuni, il «sì» alla Ue aveva un vantaggio medio nei sondaggi di circa otto punti, con un massimo di venti punti nelle rivelazioni YouGov (accurate ma online). Da inizio dell’anno il distacco medio è passato a tre punti, e a marzo a 0,9 punti.
È una politica che si sta rivelando, anche in Gran Bretagna, priva di visione e di razionalità, che sfrutta e alimenta le passeggeri emozioni dei cittadini e corre rischi molto elevati e soprattutto non calcolati e non voluti fino in fondo. È molto probabile quindi che la sterlina stia registrando queste incertezze.
IL SALTO NEL VUOTO Il calo accentuato dall’incertezza sulle reali ripercussioni di un’uscita dall’Ue e sull’esito di un referendum tanto emotivo