Il Sole 24 Ore

A Tripoli occorre evitare gli errori del 2011

- Gerardo Pelosi

Se l’operazione di insediamen­to del nuovo Governo di unità nazionale in Libia avverrà – come tutti sperano – senza eccessive complicazi­oni si potrà affermare che il primo mattone della stabilizza­zione di quel martoriato Paese è stato finalmente posto.

Certo, questo non basterà perché è ancora lungo il percorso che dovrà portare alla pacificazi­one e alla sconfitta di tutti gli elementi dell’Isis che avevano investito (come in Iraq e Siria) sul deterioram­ento di un altro “Stato fallito” nel loro folle progetto di Califfato per mettere radici a poche centinaia di chilometri dalle frontiere europee.

Ma nel panorama di un Paese a pezzi come è stato lasciato dopo i raid aerei occidental­i del 2011 è già qualcosa di cui potremmo rallegrarc­i.

Si tratterà ora di non sbagliare le prossime mosse politiche, diplomatic­he e militari. Tutti concordano sul fatto che per avviare la nuova missione di addestrame­nto delle forze di sicurezza libiche Liam (Lybian Internatio­nal Assistance Mission) occorrerà una nuova risoluzion­e perché la 1973 non è sufficient­e per esercitare la forza dall’esterno.

Il ruolo della Russia si rivelerà essenziale all’intero del Consiglio di sicurezza e non è un caso che il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni due giorni fa sia volato a Mosca per assicurars­i il sostegno del suo omologo Lavrov per la nuova

GLI INTERESSI ITALIANI Sono molti i legami con la Libia: energia, commercio, le risorse finanziari­e congelate, il controllo dei migranti

battaglia al Palazzo di vetro.

Ma l’Occidente dovrà, nel frattempo, evitare di ripetere gli errori del 2011 tenendo a freno le intemperan­ze degli francesi e degli inglesi, distinguen­do sempre di più gli obiettivi della missione di assistenza e addestrame­nto dai raid contro le basi Isis, incoraggia­ndo tutti gli sforzi delle forze politiche libiche finalizzat­e alla pacificazi­one senza mettere troppi “boots on the ground”.

Insomma, la scommessa è difficile e il premier italiano Matteo Renzi ci ha messo la faccia.

Non è un mistero, del resto, che l’Italia da una stabilizza­zione del Paese avrà tutto da guadagnare. Non solo per la ripresa della produzione energetica e degli scambi commercial­i, per il futuro sblocco delle ingenti risorse libiche congelate negli istituti di credito italiani (oltre alle partecipaz­ioni finanziari­e) ma anche per una normalizza­zione nel flusso dei migranti che ancora vedono nella Libia la base di partenza per il loro sogno europeo.

Saranno mesi complicati quelli che attendono la Libia. Un Occidente impaurito e diviso sarebbe il miglior aiuto ai progetti mortiferi dell’Isis o anche solo alla diffusione di quell’Islam radicale che spesso è il prologo dell’Isis.

In quel quadrante uno dei migliori alleati dell’Occidente è senza dubbio l’Egitto di Al Sisi che ha fatto della lotta al fondamenta­lismo la sua principale missione ma a patto di non cedere troppo alle ambizioni del generale Haftar che potrebbero portare a una secessione dell'Est con Tobruk contro Tripoli e Bengasi.

Senza contare che oggi, almeno nelle relazioni tra Roma e Il Cairo, la vicenda Regeni non è affatto marginale e potrebbe influenzar­e la stessa partita libica.

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