La condivisione è una terapia
L’incontro e il racconto per imparare insieme ad affrontare il cancro
a Scrivere un libro sulla Cura significava anche scrivere la storia di una performance, ovvero la storia di un potente meccanismo artistico che consente ai performer di materializzare un’azione nel mondo, producendo significato e stimoli percettivi e sensoriali attraverso il partecipare, l’agire, il condividere uno spazio, un tempo e un contesto. R e - alizzare una performance è come creare per qualche istante una realtà alternativa in cui un mondo differente esiste – quello descritto dal gesto artistico – con tutte le implicazioni che ne conseguono.
Documentare la performance è un argomento fortemente dibattuto nell’arte. Come si documenta? Attraverso un video, delle i mmagini, dei testi, una narrativa transmediale? Registrando le esperienze di tutti quelli che erano presenti? Non esiste una risposta univoca, e anzi si tratta di una domanda ancora aperta. Qualsiasi scelta si operi, mancherà sempre qualcosa. La performance esiste attraverso il performer, i partecipanti che vi sono coinvolti e il pubblico: si crea – e quindi termina – qui e ora, nel momento in cui avviene, e viene costruita da tutti coloro che a vario titolo sono coinvolti con le loro esperienze soggettive. Tecnicamente non esiste un pubblico: nella performance sono tutti
performer. Il personale punto di vista di qualcuno; il vedere o non vedere qualcosa; il capire alcune cose in modi differenti; la possibilità che qualcosa d’inaspettato e non previsto avvenga, forse anche innescato da un passante che la performance la sta solo guardando per caso. Tutto ciò fa intrinsecamente parte della performance, con eguale dignità rispetto all’atto dell’artista che l’ha concepita.
Il celebre 4’ 33” di John Cage è un esempio perfetto: una performance musicale composta da 4 minuti e 33 secondi di silenzio, in cui la musica è interamente creata dall’ambiente, inclusi i colpi di tosse del pubblico, le risate di qualcuno, i sussurri di altri che si chie- dono «Cosa sta succedendo?», un oggetto che cade e così via.
La performance implica partecipazione e non replicazione; tecnicamente è non-replicabile. Abbiamo deciso che questo libro avrebbe fatto parte della performance, che ne avrebbe mutuato i modi e gli strumenti.
Uno dei modi migliori che si possono immaginare per documentare una performance è spiegare agli altri come possono realizzarla da sé: un how to, un manuale; un do it yourself commentato e ben descritto. Questo rende possibile documentare (e condividere) qualcosa di diverso, ovvero la conoscenza su come creare la performance, offrendo agli altri gli strumenti per realizzarne una propria. In questo processo non solo è possibile istanziare la performance, ma anche trasformarla e modificarla.
La performance dell’artista non viene replicata – guardandone all’infinito un video, assistendo a una presentazione, leggendone la storia – ma viene posseduta dagli altri che, divenuti a loro volta performer, saranno i portatori di una nuova e personale conoscenza olistica che viene dalla loro esperienza e dal corpo.
Ecco perché abbiamo deciso di dare al libro questa forma. La Cura è una storia, una ricerca e un toolkit, una cassetta per gli attrezzi. La storia racconta la storia della performance. La ricerca spiega come siamo arrivati a concepirla così. Il toolkit fornisce gli strumenti per crearne una propria.
Ecco perché non ci saranno presentazioni di questo libro, bensì saranno workshop nei quali impareremo insieme come creare una Cura open source per il cancro.