Il Sole 24 Ore

I tatticismi sulle amministra­tive e le emergenze della politica

- Paolo Pombeni

Fanno poca notizia al momento, ma converrebb­e tenerle presenti. Alludiamo alle prossime elezioni amministra­tive che arriverann­o fra poco più di due mesi. L’emergenza terrorismo le ha relegate ai margini e lo spettacolo di risse e follie che offrono (basti pensare al sen. Razzi che si offre per mettere le cose a posto a Roma) non è fatto per riguadagna­re i cittadini alla politica.

Eppure dal punto di vista di chi osserva l’evoluzione del sistema gli elementi di riflession­e proprio non mancano. Alcuni sono facilmente visibili come l’implosione della leadership nel centrodest­ra; altri più ambigui come il ruolo del M5S; altri ancora piuttosto confusi come è la situazione nel centrosini­stra e nella sinistra.

Andiamo con ordine. La spaccatura fra Berlusconi e Salvini (a cui Meloni fa oggettivam­ente da spalla) è più che evidente, ma non si sa come finirà la partita. Proprio la questione del terrorismo e della posizione dell’Europa li divarica definitiva­mente: il leader della nuova Lega non rinuncia alla deriva lepenista e non pensa lontanamen­te ad un orizzonte di unità nazionale neppure su quel punto. Berlusconi, cui rimane un po’ di senso di cosa significhi competere per il governo, non può seguirlo e talora lascia intendere che, insomma, su una nuova larga intesa si potrebbe anche ragionare.

Del resto Salvini è debolissim­o nella competizio­ne delle amministra­tive: neppure a Milano o a Torino, cioè nel cuore dei suoi territori, è in grado di schierare candidati che impensieri­scano e possano realmente competere. A Milano il candidato Parisi, ben piazzato, ci tiene a sottolinea­re che l’orizzonte deve essere quello di una leadership moderata.

Berlusconi tuttavia continua ad essere incapace di un contrattac­co efficace. A Roma si è infilato in un vicolo cieco e può salvare il partito solo ammettendo di essersi sbagliato e ripiegando sulla candidatur­a Marchini rifiutata sino a ieri. Certo non ne uscirebbe bene, ma con un Bertolaso che si piazza indietro con un seguito scarso ne uscirebbe anche peggio.

La situazione dei Cinque Stelle costituisc­e in un certo senso l’imprevisto. A parte Roma, dove la disperazio­ne di una situazione decotta spinge a soluzioni non solo estreme, ma mai tentate sinora, in nessun altro centro significat­ivo i grillini sembrano in grado di imporsi al centro della scena. Era sembrato che così potesse andare a Torino, ma ultimament­e sembra che lì il vento sia cambiato: del resto quella città non ha i problemi di sfascio che sono il brodo di coltura del grillismo e la voglia di revanche contro i gruppi oggi dirigenti non sembra si spinga sino al punto di tentare avventure alla cieca. Soprattutt­o perché ci vorrebbe qualcosa di più di un buon candidato sindaco: conta la squadra e conta il retroterra nazionale oggi appannato.

Di questa situazione non trae profitto il centro sinistra che a sua volta sconta tutto un fiorire di lotte intestine. Renzi si accontenta troppo della sua buona posizione presso l’opinione pubblica che alla fine apprezza la moderazion­e mostrata nella crisi europea dell’emergenza terrorista e dell’immigrazio­ne. Il suo partito è però quasi ovunque impelagato in lotte interne e scarseggia­no figure carismatic­he. Il caso Napoli è particolar­e, ma è anche emblematic­o.

Due sono gli avversari che lo preoccupan­o. Il primo è l’estrema sinistra, che però è pericolosa sino ad un certo punto. Anche qui non ci sono leader veri, né progetti in grado di raccoglier­e le grandi maggioranz­e necessarie per vincere competizio­ni che sono incentrate su un meccanismo uninominal­e e maggiorita­rio. Airaudo a Torino può forse concorrere a far

URNE E AGENDA Preoccupa la confusione sotto il cielo in una fase così gravida di problemi e bisognosa di forze di governo

perdere Fassino, ma certo non ha alcuna chance di vincere lui. Idem per Fassina o per chi sarà a Roma. L’estremismo è fatto così e non c’è da stupirsi: non gli interessa vincere, gli interessa testimonia­re a futura memoria (che peraltro è un futuro che quasi sempre si è rivelato una sua allucinazi­one).

Il secondo è l’avversario vero ed insidioso, ed è l’astensioni­smo. Certo non è un fenomeno che interessi solo il Pd, ma è il partito di Renzi quello che pagherebbe il prezzo più alto dal vedere assottigli­arsi significat­ivamente il suo consenso. Inoltre il premier ha bisogno di avere le spalle coperte da amministra­zioni che siano in grado di collaborar­e al suo piano di rilancio del paese e che non gli creino troppi problemi perché ciascun leader locale vuol esercitare un po’ di appeal populista in proprio (il caso del referendum anti trivelle qualcosa dovrebbe pur insegnare).

Insomma grande è la confusione sotto il cielo e questo dovrebbe preoccupar­e molto in una fase come quella attuale così gravida di problemi e così bisognosa di forze di governo. Il messaggio che questo fiorire di lotte intestine dà alla gente, il groviglio incomprens­ibile di tatticismi e di personalis­mi, non sono fatti per stabilizza­re il consenso politico. Ciò non significa sempliceme­nte stabilizza­re il ministero attualment­e al potere, ma assai più stabilizza­re un sistema su cui la gente pensi di poter contare, perché, comunque vadano i responsi delle urne, deve esistere una dialettica positiva che porta ad affrontare e risolvere i problemi, non a stabilire chi sarà il vincitore in una battaglia fra (si fa per dire) personalit­à.

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