I tatticismi sulle amministrative e le emergenze della politica
Fanno poca notizia al momento, ma converrebbe tenerle presenti. Alludiamo alle prossime elezioni amministrative che arriveranno fra poco più di due mesi. L’emergenza terrorismo le ha relegate ai margini e lo spettacolo di risse e follie che offrono (basti pensare al sen. Razzi che si offre per mettere le cose a posto a Roma) non è fatto per riguadagnare i cittadini alla politica.
Eppure dal punto di vista di chi osserva l’evoluzione del sistema gli elementi di riflessione proprio non mancano. Alcuni sono facilmente visibili come l’implosione della leadership nel centrodestra; altri più ambigui come il ruolo del M5S; altri ancora piuttosto confusi come è la situazione nel centrosinistra e nella sinistra.
Andiamo con ordine. La spaccatura fra Berlusconi e Salvini (a cui Meloni fa oggettivamente da spalla) è più che evidente, ma non si sa come finirà la partita. Proprio la questione del terrorismo e della posizione dell’Europa li divarica definitivamente: il leader della nuova Lega non rinuncia alla deriva lepenista e non pensa lontanamente ad un orizzonte di unità nazionale neppure su quel punto. Berlusconi, cui rimane un po’ di senso di cosa significhi competere per il governo, non può seguirlo e talora lascia intendere che, insomma, su una nuova larga intesa si potrebbe anche ragionare.
Del resto Salvini è debolissimo nella competizione delle amministrative: neppure a Milano o a Torino, cioè nel cuore dei suoi territori, è in grado di schierare candidati che impensieriscano e possano realmente competere. A Milano il candidato Parisi, ben piazzato, ci tiene a sottolineare che l’orizzonte deve essere quello di una leadership moderata.
Berlusconi tuttavia continua ad essere incapace di un contrattacco efficace. A Roma si è infilato in un vicolo cieco e può salvare il partito solo ammettendo di essersi sbagliato e ripiegando sulla candidatura Marchini rifiutata sino a ieri. Certo non ne uscirebbe bene, ma con un Bertolaso che si piazza indietro con un seguito scarso ne uscirebbe anche peggio.
La situazione dei Cinque Stelle costituisce in un certo senso l’imprevisto. A parte Roma, dove la disperazione di una situazione decotta spinge a soluzioni non solo estreme, ma mai tentate sinora, in nessun altro centro significativo i grillini sembrano in grado di imporsi al centro della scena. Era sembrato che così potesse andare a Torino, ma ultimamente sembra che lì il vento sia cambiato: del resto quella città non ha i problemi di sfascio che sono il brodo di coltura del grillismo e la voglia di revanche contro i gruppi oggi dirigenti non sembra si spinga sino al punto di tentare avventure alla cieca. Soprattutto perché ci vorrebbe qualcosa di più di un buon candidato sindaco: conta la squadra e conta il retroterra nazionale oggi appannato.
Di questa situazione non trae profitto il centro sinistra che a sua volta sconta tutto un fiorire di lotte intestine. Renzi si accontenta troppo della sua buona posizione presso l’opinione pubblica che alla fine apprezza la moderazione mostrata nella crisi europea dell’emergenza terrorista e dell’immigrazione. Il suo partito è però quasi ovunque impelagato in lotte interne e scarseggiano figure carismatiche. Il caso Napoli è particolare, ma è anche emblematico.
Due sono gli avversari che lo preoccupano. Il primo è l’estrema sinistra, che però è pericolosa sino ad un certo punto. Anche qui non ci sono leader veri, né progetti in grado di raccogliere le grandi maggioranze necessarie per vincere competizioni che sono incentrate su un meccanismo uninominale e maggioritario. Airaudo a Torino può forse concorrere a far
URNE E AGENDA Preoccupa la confusione sotto il cielo in una fase così gravida di problemi e bisognosa di forze di governo
perdere Fassino, ma certo non ha alcuna chance di vincere lui. Idem per Fassina o per chi sarà a Roma. L’estremismo è fatto così e non c’è da stupirsi: non gli interessa vincere, gli interessa testimoniare a futura memoria (che peraltro è un futuro che quasi sempre si è rivelato una sua allucinazione).
Il secondo è l’avversario vero ed insidioso, ed è l’astensionismo. Certo non è un fenomeno che interessi solo il Pd, ma è il partito di Renzi quello che pagherebbe il prezzo più alto dal vedere assottigliarsi significativamente il suo consenso. Inoltre il premier ha bisogno di avere le spalle coperte da amministrazioni che siano in grado di collaborare al suo piano di rilancio del paese e che non gli creino troppi problemi perché ciascun leader locale vuol esercitare un po’ di appeal populista in proprio (il caso del referendum anti trivelle qualcosa dovrebbe pur insegnare).
Insomma grande è la confusione sotto il cielo e questo dovrebbe preoccupare molto in una fase come quella attuale così gravida di problemi e così bisognosa di forze di governo. Il messaggio che questo fiorire di lotte intestine dà alla gente, il groviglio incomprensibile di tatticismi e di personalismi, non sono fatti per stabilizzare il consenso politico. Ciò non significa semplicemente stabilizzare il ministero attualmente al potere, ma assai più stabilizzare un sistema su cui la gente pensi di poter contare, perché, comunque vadano i responsi delle urne, deve esistere una dialettica positiva che porta ad affrontare e risolvere i problemi, non a stabilire chi sarà il vincitore in una battaglia fra (si fa per dire) personalità.