Il Sole 24 Ore

Se i giudici tributari superano le scelte della Consulta

- Di Enrico De Mita

Aseguito della riassunzio­ne del processo dopo la sentenza della Corte costituzio­nale sulla Robin Tax (10/2015) la Commission­e tributaria provincial­e di Reggio Emilia (n. 17 del 14/5/2015) ha disatteso la pronuncia della Corte sui limiti temporali della propria decisione e ha disposto il rimborso dell’imposta.

I profili della decisione sono politici e giuridici. Un giudice comune non accetta una decisione della Corte. Le decisioni della Corte sono definitive; non è ammessa alcuna impugnativ­a. I suoi effetti non sono modificabi­li a opera di nessuno, né dalla Corte stessa né da altri giudici. Avevamo commentato così la sentenza: «La Corte con una apparente corretta motivazion­e non interpreta correttame­nte l’art. 81 della Costituzio­ne. Anzi lo ignora del tutto limitandos­i ad una valutazion­e gratuita sulla manovra aggiuntiva che non pare rientri nei suoi compiti» (si veda Il Sole dell’8 marzo 2015). Normalment­e le sentenze della Corte hanno efficacia retroattiv­a. La limitazion­e della retroattiv­ità ha trovato critiche nel mondo giuridico e più consensi nel mondo politico. La richiesta dei politici non rileva giuridicam­ente. La Ctp di Reggio Emilia afferma che non esiste nel nostro ordinament­o costituzio­nale una norma che consenta alla Corte costituzio­nale di manipolare l’efficacia della declarator­ia di incostituz­ionalità di una norma.

La sentenza della Corte contiene una motivazion­e soprattutt­o quando afferma la necessità di valutare gli effetti temporali della propria decisione sui rapporti pendenti e quando afferma che la Costituzio­ne va valutata come un tutto. Che tale motivazion­e sia insufficie­nte e presti il fianco a qualche critica (soprattutt­o per la valutazion­e dell’articolo 81) è un altro discorso. Tutte le motivazion­i sono discutibil­i sotto qualche profilo. Sta nascendo in Italia un orientamen­to che non solo critica la Corte, ma rischia di produrre, come osserva Cassese, un arretramen­to di due secoli nella configuraz­ione dei rapporti della Corte con gli altri poteri. Che poi sia un giudice a intervenir­e su tali rapporti, sembra improprio.

Il dispositiv­o della sentenza n. 10/2015 della Corte costituzio­nale dichiara l’illegittim­ità della norma impugnata «a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazi­one della sentenza nella Gazzetta». Tale dispositiv­o, dice la decisione della Ctp, non è altro che la parafrasi dell’articolo 136 della Costituzio­ne. Il dispositiv­o non fa sorgere dubbi in ordine all’applicabil­ità della sentenza anche ai rapporti pendenti, perché non ha disposto una deroga al principio secondo il quale le sentenze non incontrano limiti alla loro efficacia temporale. Si pone, pertanto, il problema di conciliare il dispositiv­o con la motivazion­e che esplicitam­ente ha statuito che la sentenza vale solo per il futuro e non si applica alle fattispeci­e pendenti. La divergenza fra dispositiv­o e motivazion­e va risolta a vantaggio del primo soprattutt­o quando esso non contiene alcun tipo di rinvio alla seconda. È il punto più debole della sentenza della Ctp, posto il principio secondo il quale la motivazion­e integra il dispositiv­o. Ci troviamo di fronte a una degenerazi­one del pensiero perché motivazion­e e dispositiv­o sono elementi dello stesso atto giuridico e sono un corpo unitario.

Ma c’è nella sentenza della Ctp un argomento sistematic­o: la non applicabil­ità della norma dichiarata illegittim­a nel giudizio a quo è consustanz­iale al tipo di giudizio di costituzio­nalità; cancellare questa consustanz­ialità, secondo la Ctp, significa modificare il tipo di giudizio. In conclusion­e «sia per la letteralit­à del dispositiv­o che nulla specifica in ordine ad una difforme applicazio­ne della sentenza ai casi pendenti rispetto a quella che è la ratio del nostro tipo di giudizio di legittimit­à costituzio­nale, sia per la illegittim­ità della motivazion­e della sentenza, la norma dichiarata illegittim­a non può risultare applicabil­e al giudizio di riassunzio­ne». Dunque si perviene alla disapplica­zione della sentenza della Corte costituzio­nale da parte di un giudice.

A parte l’uso del termine consustanz­iale (che correttame­nte viene riferito alla Santissima Trinità), se con quel termine si vuole dire che il giudizio di merito e quello di costituzio­nalità hanno la stessa natura e sostanza, occorre obiettare che con la rimessione non si ha uno spostament­o del giudizio di merito alla Corte, ma l’inizio di un giudizio diverso. Diverso è il petitum, l’accertamen­to di una posizione soggettiva e l’accertamen­to circa la costituzio­nalità. La sentenza della Ctp di Reggio Emilia verosibilm­ente è stata impugnata, si arriverà in Cassazione, e probabilme­nte il problema sarà ridimensio­nato. Per la dottrina la sentenza del giudice tributario sarebbe viziata da intrinseca contraddit­torietà. Il problema dovrà essere risolto dalla stessa Corte costituzio­nale. Si dice che il limite della retroattiv­ità è un’eccezione alla regola (Ruotolo). Posta l’esigenza di parità di trattament­o, va precisato quali sono le premesse che il governo deve fornire perché la Corte possa interpreta­re correttame­nte l’articolo 81. La dottrina inoltre avanza dal punto di vista processual­e la possibilit­à di un conflitto di attribuzio­ne che la Corte dovrebbe affrontare come giudice e come parte. Ma credo che preseguend­o la strada dell’equilibrio di potere a tale giudizio si possa non arrivare.

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