Se i giudici tributari superano le scelte della Consulta
Aseguito della riassunzione del processo dopo la sentenza della Corte costituzionale sulla Robin Tax (10/2015) la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia (n. 17 del 14/5/2015) ha disatteso la pronuncia della Corte sui limiti temporali della propria decisione e ha disposto il rimborso dell’imposta.
I profili della decisione sono politici e giuridici. Un giudice comune non accetta una decisione della Corte. Le decisioni della Corte sono definitive; non è ammessa alcuna impugnativa. I suoi effetti non sono modificabili a opera di nessuno, né dalla Corte stessa né da altri giudici. Avevamo commentato così la sentenza: «La Corte con una apparente corretta motivazione non interpreta correttamente l’art. 81 della Costituzione. Anzi lo ignora del tutto limitandosi ad una valutazione gratuita sulla manovra aggiuntiva che non pare rientri nei suoi compiti» (si veda Il Sole dell’8 marzo 2015). Normalmente le sentenze della Corte hanno efficacia retroattiva. La limitazione della retroattività ha trovato critiche nel mondo giuridico e più consensi nel mondo politico. La richiesta dei politici non rileva giuridicamente. La Ctp di Reggio Emilia afferma che non esiste nel nostro ordinamento costituzionale una norma che consenta alla Corte costituzionale di manipolare l’efficacia della declaratoria di incostituzionalità di una norma.
La sentenza della Corte contiene una motivazione soprattutto quando afferma la necessità di valutare gli effetti temporali della propria decisione sui rapporti pendenti e quando afferma che la Costituzione va valutata come un tutto. Che tale motivazione sia insufficiente e presti il fianco a qualche critica (soprattutto per la valutazione dell’articolo 81) è un altro discorso. Tutte le motivazioni sono discutibili sotto qualche profilo. Sta nascendo in Italia un orientamento che non solo critica la Corte, ma rischia di produrre, come osserva Cassese, un arretramento di due secoli nella configurazione dei rapporti della Corte con gli altri poteri. Che poi sia un giudice a intervenire su tali rapporti, sembra improprio.
Il dispositivo della sentenza n. 10/2015 della Corte costituzionale dichiara l’illegittimità della norma impugnata «a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta». Tale dispositivo, dice la decisione della Ctp, non è altro che la parafrasi dell’articolo 136 della Costituzione. Il dispositivo non fa sorgere dubbi in ordine all’applicabilità della sentenza anche ai rapporti pendenti, perché non ha disposto una deroga al principio secondo il quale le sentenze non incontrano limiti alla loro efficacia temporale. Si pone, pertanto, il problema di conciliare il dispositivo con la motivazione che esplicitamente ha statuito che la sentenza vale solo per il futuro e non si applica alle fattispecie pendenti. La divergenza fra dispositivo e motivazione va risolta a vantaggio del primo soprattutto quando esso non contiene alcun tipo di rinvio alla seconda. È il punto più debole della sentenza della Ctp, posto il principio secondo il quale la motivazione integra il dispositivo. Ci troviamo di fronte a una degenerazione del pensiero perché motivazione e dispositivo sono elementi dello stesso atto giuridico e sono un corpo unitario.
Ma c’è nella sentenza della Ctp un argomento sistematico: la non applicabilità della norma dichiarata illegittima nel giudizio a quo è consustanziale al tipo di giudizio di costituzionalità; cancellare questa consustanzialità, secondo la Ctp, significa modificare il tipo di giudizio. In conclusione «sia per la letteralità del dispositivo che nulla specifica in ordine ad una difforme applicazione della sentenza ai casi pendenti rispetto a quella che è la ratio del nostro tipo di giudizio di legittimità costituzionale, sia per la illegittimità della motivazione della sentenza, la norma dichiarata illegittima non può risultare applicabile al giudizio di riassunzione». Dunque si perviene alla disapplicazione della sentenza della Corte costituzionale da parte di un giudice.
A parte l’uso del termine consustanziale (che correttamente viene riferito alla Santissima Trinità), se con quel termine si vuole dire che il giudizio di merito e quello di costituzionalità hanno la stessa natura e sostanza, occorre obiettare che con la rimessione non si ha uno spostamento del giudizio di merito alla Corte, ma l’inizio di un giudizio diverso. Diverso è il petitum, l’accertamento di una posizione soggettiva e l’accertamento circa la costituzionalità. La sentenza della Ctp di Reggio Emilia verosibilmente è stata impugnata, si arriverà in Cassazione, e probabilmente il problema sarà ridimensionato. Per la dottrina la sentenza del giudice tributario sarebbe viziata da intrinseca contraddittorietà. Il problema dovrà essere risolto dalla stessa Corte costituzionale. Si dice che il limite della retroattività è un’eccezione alla regola (Ruotolo). Posta l’esigenza di parità di trattamento, va precisato quali sono le premesse che il governo deve fornire perché la Corte possa interpretare correttamente l’articolo 81. La dottrina inoltre avanza dal punto di vista processuale la possibilità di un conflitto di attribuzione che la Corte dovrebbe affrontare come giudice e come parte. Ma credo che preseguendo la strada dell’equilibrio di potere a tale giudizio si possa non arrivare.