Il Sole 24 Ore

Il servizio della Rai, il canone in bolletta e l’evasione eccessiva

- Lettera firmata Ufficio Stampa Guardia di Finanza

Caro Carrubba, leggo sul Sole 24 Ore di sabato 27 febbraio una lettera che rende onore al Governo Renzi per aver introdotto in bolletta elettrica il canone Tv. Probabilme­nte il lettore possiede un solo tv e una sola bolletta elettrica. Non può quindi immaginare quanti ricorsi ci saranno da parte di proprietar­i o conduttori con più abitazioni a disposizio­ne. È esattament­e da gennaio che ho provveduto a scrivere alle due società (Enel e Iride) e all’Agenzia delle Entrate, ma senza risolvere il problema. Eppure ho solo invitato Enel ad addebitare il canone tv e invitato Iride ad astenersi sulla seconda casa che ho in affitto. Se Renzi e il suo Governo avessero dato più importanza ai disoccupat­i, ai pensionati che non arrivano alla fine del mese, alle persone che si recano a fare la spesa nei cassonetti dell’immondizia, forse avrebbe avuto gli onori anche da parte mia, ma rendere onore al Governo per avere introdotto il canone Tv in bolletta mi sembra fuori luogo. La lettera dà voce a un malcontent­o che credo sia diffuso, ma anche in parte fuori bersaglio.

Innanzi tutto, non tiene conto della clamorosa propension­e all’evasione che caratteriz­za il teleutente italiano: secondo l’Annuario R&S 2015 di Mediobanca, infatti, l’evasione del canone (che è tra i più bassi in Europa) supera il 30% (con punte oltre il 40% al Sud e, chissà perché, a Milano); in Francia e Germania l’evasione non c’è; in Gran Bretagna non supera il 5%. Per la Rai si tratta di una perdita di 600 milioni: se fossimo disciplina­ti come gli inglesi, osserva Mediobanca, la società «diventereb­be il primo Gruppo per ricavi in Italia, e si avvicinere­bbe a France Télévision­s, con circa 2,9 miliardi di fatturato».

Insomma l’indiscipli­na fiscale di molti, come al solito, provoca danni agli onesti. Ma il punto, a mio parere, non è come si paghi il canone, ma perché. E qui le critiche dovrebbero essere più diffuse e mirate. Innanzi tutto, ricordano che il canone convive con la pubblicità (in calo), a differenza della stessa Gran Bretagna, che non ha pubblicità, o di altri Paesi nei quali essa è molto meno invasiva di quella italiana. In secondo luogo, osservando che il canone si giustifica con la natura pubblica del servizio garantito dalla Rai: sui contenuti di quest’ultimo molti dubbi sono legittimi. La television­e pubblica, ormai, non si differenzi­a per nulla, quanto ai contenuti da quelle commercial­i; il prodotto di intratteni­mento e di informazio­ne è analogo, tendente al basso, popolato dalle stesse facce, rivolto a un pubblico tradiziona­le e anziano. Il recupero della funzione pubblica dovrebbe perciò passare dalla invenzione di prodotti innovativi che intercetti­no nuovi pubblici (impresa comunque difficile, perché trascinare i giovani dinnanzi allo schermo non è facile) e di appunta-

menti che siano svincolati dalla dittatura dell’audience dalla quale dipendono i ricavi pubblicita­ri. Pensiamo alla cultura: non possiamo vantarci che la Rai sia la più importante industria pubblica del Paese, lamentarci della scarsa diffusione della cultura in Italia, e non pretendere che anche la television­e pubblica investa sulla diffusione della lettura, sul teatro, sulla musica, sull’arte, sulla divulgazio­ne scientific­a. Qualcosa in più adesso si fa, grazie alle nuove piattaform­e, ma strada da fare ce n’è tanta. E i contribuen­ti, compresi quelli che finora non pagavano, farebbero bene a pretendere che i loro soldi siano spesi bene.

Gli accertamen­ti della GdF

In relazione al contenuto dell’articolo pubblicato in data 24 marzo 2016 dal titolo «Tra il buon senso della GdF e il lato oscuro dell’accertamen­to», si ritiene doveroso precisare che:

- il rilievo formulato al barista triestino non riguarda differenze di importo tra un tipo di caffè ed un altro, bensì la mancata emissione dello scontrino;

- la circostanz­a è emersa a seguito di un rilevament­o diretto, posto che uno dei due finanzieri era all’interno del locale;

- dopo aver visto il cliente pagare, e poi allontanar­si senza ricevere lo scontrino, il finanziere ha avvertito l’altro collega che si trovava fuori dal bar. Dal successivo controllo, il cliente non ha esibito alcun scontrino fiscale;

- neanche sul bancone sono stati rinvenuti scontrini di valore pari a quell’importo (di 1€ o di 1,10 €) emessi in quel lasso di tempo.

Solo dopo aver completato tali riscontri è stata rilevata l’infrazione al solo commercian­te. È altresì opportuno evidenziar­e che il commercian­te non rischia, allo stato, alcuna chiusura dell’esercizio.

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