Il ruolo della Corte a scuola
In La democrazia in America, Tocqueville osserva che i giudici americani hanno «un potere politico immenso», derivante dal diritto di «fondare le proprie decisioni sulla costituzione invece che sulle leggi». Sono parole di grande attualità: al livello più alto del sistema giuridico la Corte Suprema, che letteralmente «detta legge» a tutti i livelli inferiori, ha di recente visto la scomparsa di uno dei suoi membri più influenti, Antonin Scalia, ed è entrata in una situazione di stallo: quattro membri conservatori e quattro progressisti. Il nuovo membro deter- minerà il corso della politica per anni, forse per decenni; ma, nominato dal presidente ( democratico), deve essere confermato dal senato (a maggioranza repubblicana). Non stupisce che i senatori repubblicani abbiano già dichiarato che si rifiuteranno di considerare Merrick Garland, proposto da Obama. Tutto, asseriscono, va rimandato all’esito della campagna elettorale, che anche per questo si annuncia come la più importante e decisiva dell’ultima generazione.
I giudici hanno tanto potere perché la Costituzione è un testo molto conciso, quindi la sua applicazione dipende da come viene interpretato. Sebbene ciò sia vero per ogni legge (l’ermeneutica è nata in ambito scritturale e legale), lo è soprattutto per leggi formulate con estrema economia. Fra queste figura il primo emendamento, che stabilisce: «Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione, o che ne proibiscano la libera professione, o che limitino la libertà di parola, o di stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea, e di fare petizioni al governo per la riparazione dei torti». In Lessons in Censorship Catherine Ross, professore di legge alla George Washington University, ha seguito il tormentato percorso di questo emendamento, con speciale riguardo alla sua difesa della libertà di espressione, nel regolare i diritti degli studenti entro il sistema scolastico. Vent’anni d’ininterrotta presidenza democratica, dal 1932 al 1952, lasciarono il segno. Nel 1943 la Corte Suprema considerò il caso delle sorelle Barnett (11 e 9 anni; il loro nome è passato alla storia con la dizione sbagliata «Barnette»), testimoni di Geova, che erano state espulse dalla loro scuola (in West Virginia) per essersi rifiutate di rendere omaggio alla bandiera, e ne sostenne il diritto a essere protette nelle opinioni, se necessario, dalla tirannia dello stesso Stato. Un quarto di secolo dopo, nel pieno fermento degli anni 60, fu la volta dei fratelli Tinker (15, 13, 11 e 8 anni) che, in Iowa, attuarono una protesta silenziosa contro la guerra del Vietnam utilizzando un simbolo comune all’epoca: una fascia nera al braccio. Anche loro furono espulsi e anche la loro libertà fu riaffermata dalla Corte. «Nel nostro sistema» spiegava il giudizio «una paura indeterminata o la preoccupazione di causare trambusto non sono sufficienti per sopraffare il diritto a esprimersi. Secondo la Costituzione, dobbiamo correre il rischio».
I tempi sono cambiati. Nei quarant’anni dal 1968 al 2008, i repubblicani hanno avuto la presidenza per ventotto; e Obama per ora non è riuscito a fare la differenza. Le conseguenze si vedono: i giudizi emessi nei casi Barnette e Tinker non sono stati revocati, ma drasticamente ridimensionati. Nel 1986 la Corte esaminò il caso di Matthew Fraser, uno studente (nello Stato di Washington) che aveva sostenuto un compagno in un’elezione scolastica con un discorso infarcito di spiritosi, ma pesanti, riferimenti sessuali e decise di privilegiare la difesa della sensibilità degli altri studenti sulla libertà di espressione. Nel 1988, affrontando il caso di studenti di St. Louis che erano stati censurati per aver tentato di pubblicare articoli nel giornale scolastico sulla gravidanza fra adolescenti e sugli effetti del divorzio sui figli, convalidò la censura con la giustificazione che il giornale faceva parte di un’attività «sponsorizzata dalla scuola». Nel 2007, alle prese con uno studente (in Alaska) che aveva esposto un cartello che sembrava favorire il consumo di marijuana, fece un’ulteriore eccezione alla libertà di espressione per il caso specifico della pubblicità alle droghe.
Il risultato, sostiene Ross, è confusione e arbitrio. La decisione nel caso Tinker era chiara: se l’espressione di uno studente non compromette la funzione educativa, è legittima. Ora invece bisogna cercare una difficile rotta fra tutte le deroghe ammesse dalla Corte e insegnanti e amministratori tendono a usarle per impedire ogni forma espressiva non gradita, estendendo a dismisura, per esempio, il senso in cui un’attività che si svolge a scuola è «sponsorizzata» dalla scuola. Rinnegando così il ruolo principale della scuola stessa: educare, attraverso il dissenso e la discussione, i cittadini di uno Stato democratico. E noi tratteniamo il respiro nell’attesa di sapere chi sarà il prossimo presidente, e il prossimo giudice.
Catherine J. Ross, Lessons in Censorship: How Schools and Courts Subvert Students’ First Amendment Rights, Cambridge (Ma), Harvard University Press, pagg. 356, $ 39,95