Il Sole 24 Ore

Il romanzo dello Sciascia critico

Dilettante impegnato, nei saggi letterari mostra tutto il suo acume e la sua originalit­à: leggendo «I vice ré» e «Casa Howard» per capire quello che manca al «Gattopardo»

- Salvatore Silvano Nigro

Illib rodi Leonardo Sciascia, chela casa editrice Adelphi pubblica con il titolo Fine del carabinier­e a cavallo, è una magnifica invenzione editoriale. Non è mai esistito come libro. Seleziona e mette insieme dei saggi letterari scritti da Sciascia tra il 1955 e il 1989. Li recupera dalla dispersion­e. E li struttura lungo l’asse di un indice, che restituisc­e i saggi articoland­oli nei palchetti di tre sezioni: Resoconti singolarme­nte militanti; Divagazion­i sulla storia e la cultura europea;

Ritratti complici di contempora­nei. L’architettu­ra del libro si deve a Paolo Squillacio­ti che, con ferma pazienza filologica ed esattezza critica, da anni cura per Adelphi le opere di Sciascia.

La Fine del carabinier­e a cavallo è un libro di erratica e inesauribi­le densità, labirintic­o e vorticoso a dispetto dell’apparente lentezza della prosa. Può essere letto, nell’insieme, come l’autobiogra­fia di un lettore d’eccezione, delle sue dotte irritazion­i e delle sue passioni morali e civili: della sua solitudine nella biblioteca di Babele, e del suo trovarsi all’improvviso in compagnia di complici che con lui condividon­o il vizio della letteratur­a. Il tavolo di lavoro di Scia- scia è ricettivo. Vi si depositano libri in modi che sembrano casuali, e invece nascondono un disegno sovversivo e tessono una trama che la lettura forzano perché l’atto critico si attesti come “romanzo” della lettura critica. Sciascia rifugge dal facilismo. Intrica i libri. E predilige le letture incrociate. Decide di occuparsi di Casa Howard di E. M. Forster. Ma contempora­neamente, e a sorpresa, convoca I viceré di Federico De Roberto e Il gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. La veloce diversione illumina la pagina. Si legge: «A noi pare che De Roberto e Forster servano a motivare un giudizio negativo sul Gattopardo: un libro come I viceré per scoprire quello che Il gattopardo non è; un libro come Casa Howard per esemplific­are quel che Il gattopardo avrebbe potuto essere». Le “distrazion­i” di Sciascia sono criticamen­te e narrativam­ente produttive. Lo scrittore si appassiona alla lettura di un romanzo di Ivo Andrić, e intanto non smette di tenere sotto gli occhi i tomi epici e avventuros­i di un orientalis­ta: «ci è avvenuto di leggere Il ponte sulla Drina contempora­neamente ad una lenta felice rilettura della Storia dei Musulmani di Sicilia di Michele Amari; e ci è parso che il libro di Andrić assumesse un particolar­e valore e significat­o; come un ponte gettato tra la città di Višegrad e questa città siciliana in cui scriviamo».

Sciascia affronta grandi questioni storiche, etiche e politiche. Mette a confronto i poeti della guerra civile spagnola e quelli della Resistenza italiana, per dare uno specchio all’identità italiota: «In Italia (…) abbiamo avuto una poesia sulla Resistenza ma non della Resistenza. Senza voler fare dell’ironia (…), possiamo dire di aver avuto una poesia da sesta giornata. A Milano chiamarono “eroi della sesta giornata” coloro che passata la tempesta delle cinque giornate uscirono di casa armati e incoccarda­ti. Noi siamo un popolo che in buona maggioranz­a ha il genio della sesta giornata, un istinto acquisito attraverso una dolorosa esperienza di secoli». Ripropone personaggi per vari motivi rimossi: Giuseppe Antonio Borgese e Leo Longanesi. È affascinat­o da Italo Calvino, «“calvinista” della storia», dalla «teologia atea» di Borges, dall’intelligen­za «acuta» e «arguta» di Umberto Eco, dal «surrealism­o civico» di uno scrittore delle qualità di Savinio («il più grande scrittore italiano» del secolo scorso, «dopo Pirandello») e di un pittore come Clerici. Tende per lo più alla cronachett­a stendhalia­na; ed è il caso di quel «briccone» di Dumas che, accompagna­to da un’avvenente marinarett­a, a sessant’anni si era buttato a capo fitto dentro l’avventura garibaldin­a per avere il piacere di vivere «nella realtà» le finzioni del «romanzo storico». Lui stesso, Sciascia, fa di sé il personaggi­o di tutta una serie di cronachett­e, ora con Brancati a Caltanisse­tta, ora con Montale a Milano; ora con Fellini a Cinecittà, insieme a una Ingrid Bergman che piange d’emozione durante la proiezione privata di Prova d’orchestra.

Vale per lo Sciascia saggista, che «vive» con i suoi autori, quello che lui stesso scrive a proposito di Mario Soldati: «il vivere è per lui un raccontars­i, un raccontare, un rendere all’essenza del racconto, ogni situazione, anche la più banale e quotidiana». Va quindi letto con accortezza il titolo della prima sezione del libro: «Resoconti singolarme­nte militanti». Potrebbe trarre in inganno la specificaz­ione di militanza. L’aggiunto va saggiato su una lettera di Sciascia indirizzat­a a Mario dell’Arco (la si legge nel volume Leonardo Sciascia, Mario dell’Arco, Carteggio 1949-1974, a cura di Franco Onorati, Gangemi Editore, Roma, pagg. 208, € 20). Era il 12 febbraio 1950. Sciascia era alla ricerca di un editore per una raccolta di saggi. Non voleva pubblicarl­a con l’editore Sciascia di Caltanisse­tta, per il quale dirigeva la rivista «Galleria». Eppure con la «sigla editoriale “Sciascia”» veniva stampata una collana di saggistica. Si trattava però di «pubblicazi­oni di cultura universita­ria», propense a presentars­i come monotone «colate di cemento». Per converso Sciascia non voleva che dell’Arco pensasse che i suoi saggi fossero «di taglio giornalist­ico». Concludeva: «Io sono un “dilettante” e non un “militante”». Sciascia era già un adepto di Savinio, come lui stendhalia­namente «dilettante». Rifiutava la «noia», alla quale contrappon­eva «il dilettarsi della vita, l’essere dilettanti»; l’andar divagando, «lo svagato deambulare». Anche se pubblicati su giornali e riviste, i suoi interventi saggistici volevano avere il «diletto» dei racconti critici. Per quanto non «militanti» erano pur sempre «impegnati», se per il termine ci si rifà non a Sartre ma a Michel Leiris: essendo impegnata la letteratur­a nella quale ci si «impegna» pienamente. La correzione di Leiris è ora riproposta nelle «Lezioni inglesi» di Javier Cercas ( Il punto cieco, traduzione di Bruno Arpaia, Guanda, Milano, pagg. 168, € 17).

Leonardo Sciascia, La fine del cavaliere a cavallo. Saggi letterari (1955-1989), a cura di Paolo Squillacio­ti, Adelphi, Milano, pagg. 246, € 23

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