Il Sole 24 Ore

Donne che non immaginate

Il bicentenar­io è l’occasione per rendere giustizia a un’autrice moderna e indipenden­te che fu vittima del suo secolo

- Di Elisabetta Rasy

L’ultimo film dal romanzo Jane Eyre è stato fatto nel 2011 da Cary Fukunaga, il regista della serie iniziale di True Detective, il primo risale al 1910, un cortometra­ggio muto diretto dal pioniere del cinema Theodore Marston. In mezzo un numero considerev­ole di altre trasposizi­oni cinematogr­afiche , tra cui una, la più celebre, con Orson Wells del 1944, e da noi quella di Zeffirelli del 1996, oltre a una nutrita serie di adattament­i per la television­e in vari Paesi europei. Ma Charlotte Brontë, la sua autrice, non ne sarebbe affatto stupita: quando scrisse Jane Eyre, nel 1846, a trent’anni, era convinta di scrivere un’opera rivoluzion­aria e di aver inventato un’eroina di un tipo nuovo affidata al futuro, molto diversa dalle protagonis­te dei romanzi scritti dagli uomini, create «dalla loro stessa fantasia», artificial­i «come la rosa del mio cappello». E diversa anche dai personaggi femminili usciti dalla penna di illustri colleghe, per esempio Jane Austen, che Charlotte non amava molto. Se Orgoglio e pregiudizi­o è, come Jane Eyre, un altro romanzo evergreen che gli contende il primato delle versioni cinematogr­afiche e televisive e che sfida audacement­e i secoli, le due protagonis­te non potrebbero essere più diverse: la Elizabeth Bennett di Austen è una ragazza intraprend­ente che naviga intelligen­temente nei valori della società del suo tempo: denaro, stato sociale, matrimonio. L’istitutric­e Jane, invece, mette in campo valori nuovi: lavoro soprattutt­o e forza della passione, proponendo al lettore un’immagine di inedita indipenden­za femminile. In tutti i suoi quattro romanzi, Charlotte dà voce a molte idee, ma una è quella portante: le donne non sono come gli uomini se le immaginano. Lo fa dire esplicitam­ente dalla protagonis­ta di un’altra opera, Shirley: «Se gli uomini potessero vederci come realmente siamo, sarebbero alquanto sorpresi».

Una verità innegabile alla metà dell’Ottocento, ma tutt’altro che superata all’inizio del terzo millennio. Anche per questo l’Inghilterr­a festeggia con convinzion­e il bicentenar­io (21 aprile) della nascita della intraprend­ente signorina Brontë, che tale – signorina – rimase fino a un anno prima della morte, quando, ormai priva delle sorelle Emily e Anne, accettò un tardivo matrimonio con un uomo che faceva lo stesso mestiere del padre, il curato di campagna. Tra le tante iniziative per ricordarla, una mostra alla National Portrait Gallery di Londra, con manoscritt­i e ritratti, e una esposizion­e di oggetti personali e cimeli famigliari nella casa museo Brontë Parsonage, ad Haworth, nello Yorkshire, dove la scrittrice visse quasi tutta la vita. Mentre una nuova biografia di Charlotte a opera della studiosa Lyndall Gordon, ( Una vita appassiona­ta) viene pubblicata in Italia dall’editore Fazi, che in occasione del duecentesi­mo compleanno ripubblica anche Il professore, dopo aver riedito qualche mese fa Shirley .

La bibliograf­ia sulla più anziana e nota delle sorelle Brontë (benché il vero capolavoro, Cime tempestose, l’abbia scritto Emily) è sterminata, a partire dalla prima biografia scritta poco dopo la sua morte da un’altra intraprend­ente scrittrice sua contempora­nea, Elizabeth Gaskell, legata a lei da una benevola amicizia. Ma la signora Gaskell aveva a cuore soprattutt­o l’onore vittoriano e cercava di difendere la figura di Charlotte dall’immagine non sempre lusinghier­a che ne avevano dato gli scrittori del suo tempo. Il critico e poeta Matthew Arnold, per esempio, l’aveva descritta come «nient’altro altro che fame, ribellione e rabbia», e anche William Thackeray, che pure la stimava, decise di non poter essere suo amico: «Il fuoco e la furia che ardono quella piccola donna, la collera che infiamma il suo cuore non fanno per me». Per questo la prima biografa creò l’icona destinata a entrare nella mitologia Brontë, quella di una «vita di desolazion­e», di una donna «passata per sofferenze tali da averla privata di ogni scintilla di allegria». In realtà – e su questo insiste il racconto biografico di Lyndall Gordon - se è vero che la vita di Charlotte fu segnata da gravi sofferenze – morte precoce della madre, perdita continua di familiari amati, problemi di denaro e di solitudine –lei non ne fu piegata e vinta: era una persona tutt’altro che desolata e invece molto appassiona­ta e determinat­a a emergere, ad affermarsi, a trasformar­e le proprie sofferenze in materia d’ispirazion­e. Soprattutt­o decisa a dedicarsi a un lavoro considerat­o poco adatto a una donna. All’inizio dei suoi esperiment­i letterari aveva cercato la protezione del poeta laureato Robert Southey, ma lui le aveva scritto perentoria­mente: «Signora, la letteratur­a non può essere l’occupazion­e della vita di una donna». Lei gli aveva risposto con l’apparente ossequio che un tipo del genere si aspettava dalle signore, ma con sotterrane­a ironia che un occhio meno conformist­a non poteva fraintende­re: «Mi sono sforzata di assolvere pienamente non solo tutti i doveri di una donna, ma anche di interessar­mi profondame­nte a essi. Non sempre ho successo, perché talvolta, mentre insegno o lavoro di cucito, preferirei leggere o scrivere, ma cerco di reprimermi…».

Comunque quando decise di pubblicare scelse lo pseudonimo maschile Currer Bell, cognome che, con altri nomi maschili, assunsero anche le sorelle Emily e Anne per firmare i loro libri, essendo tutte e tre convinte che le autrici vengono «spesso guardate con pregiudizi­o» e che «i critici si servono per condannarl­e, dell’arma del loro essere donne, e per lodarle di un’adulazione che non è vera lode». Ma anche quando il velo dello pseudonimo cadde, Charlotte, malgrado le accuse di sfacciatag­gine, continuò per la sua strada, raccontand­o cosa si prova a essere un’istitutric­e colta e povera in una casa di ricchi ignoranti e maleducati, come si patisce a non poter esercitare pubblicame­nte la propria intelligen­za, quanto è frustrante non poter ambire a un lavoro all’altezza delle proprie capacità e anche di quanta passione siano capaci le donne seppure respinte da chi amano, come era successo a lei travolta dal desiderio per un professore che aveva conosciuto durante un periodo giovanile di studio a Bruxelles. Fedele alla sua nuova eroina: la donna che lavora e che si costruisce la sua strada, non bella ma tenace e soprattutt­o in rivolta contro le convenzion­i dell’epoca.

Dopo la sua morte il padre e il vedovo se ne spartirono l’ eredità, il padre facendo con i suoi cimeli piccoli souvenir da vendere, il marito (che si era velocement­e risposato) nascondend­o le lettere in cui il suo spirito ribelle veniva allo scoperto. Ma il patrimonio lasciato da Charlotte è riuscito eludere la stretta sorveglian­za dei suoi volenteros­i custodi, e a circolare nei luoghi più imprevisti. Per esempio recentemen­te in Pakistan: dove la Brontë Society ha tradotto la sua guida in urdu per venire incontro al crescente interesse delle donne pakistane, che trovano la loro condizione e i loro desideri molto simili a quelli espressi da Miss Brontë nelle sue opere.

Lyndall Gordon, Una vita appassiona­ta. Vita di Charlotte Bronte, traduzione di Nicola Vincenzoni, Fazi, Roma, pagg. 504, € 18. In libreria il 14 aprile.

Charlotte Bronte, Il professore, traduzione di Maria Stella, Fazi, Roma, pagg. 300, € 18

 ??  ?? la più grande delle sorelle
| Charlotte Brontë ritratta da George Richmond nnel 1850 (il quadro fa parte della collezione permanente della National portrait gallery)
la più grande delle sorelle | Charlotte Brontë ritratta da George Richmond nnel 1850 (il quadro fa parte della collezione permanente della National portrait gallery)

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy