Arrivano i ciaspolatori che ciaspolano
Il testo che pubblichiamo, tratto da «Le parole volano», è la puntata d’esordio della rubrica omonima, tenuta da Edoardo Sanguineti (19302010) sulle pagine de «Il Secolo XIX» dal 6 marzo al 1° maggio del 2010. Come spiega Giuliano Galletta, che cura il volume, e con il quale il poeta aveva tenuto sempre per il «Secolo», a cavallo del 2000, una rubrica di interviste settimanali intitolata «Caffè con Sanguineti», da anni il quotidiano genovese cercava di convincerlo a tornare a collaborare, ma i suoi tanti impegni e i frequenti viaggi all’estero non lo avevano più reso possibile. Nel 2010, appena prima che lo morte lo cogliesse (il 18 maggio), quello di scrivere nuovamente per il giornalismo, con una sua rubrica settimanale, era stato inaspettatamente un desiderio di Sanguineti stesso. Il quale vi si dedicò, purtroppo per troppo poco tempo, con la consueta, brillante ironia, raffinatezza e maestria, e con rinnovata passione nei confronti di quella che «egli stesso aveva definito una mania» (Galletta): la «lessicomania», indagata nel saggio di Enrico Testa che correda il volume. Sanguineti infatti, in questi nove pezzi «stilisticamente piro- tecnici, ricchi delle più inattese citazioni e di mirabili divagazioni», dà seguito a un’antica e sempre viva ossessione, da lui del resto svelata: «mi sono trasformato da lessicomane clandestino, non dico a lessicografo, ma a lessicomane ufficiale semi auto patentato ». Si vola così, sulle parole del poeta, dai «ciaspolatori» allo «statunitense », dai« leggings» ai« preraffaelliti ealtrip re », dall ’« endecasillabo », occasione per un elogio alla grande Mina, alla «panèra di Stendhal», per la città di Milano «panna o crema», adorata, insieme alle cantanti d’opera milanesi (e non solo), dallo scrittore de Le Rouge et le noir. Non articoli, ma vere e proprie, mirabili, lezioni di giornalismo, che al pari delle sue parole poetiche volante, appunto per questo, manent. E resta vuoto il posto di guida di chi sappia, ora, prendere “almeno”, come lui, un’altra “semiautopatente” in materia.
– Chiara Pasetti
Edoardo Sanguineti, Le parole volano, a cura di Giuliano Galletta, con un saggio di Enrico Testa, Il Canneto, Genova, pagg. 66, € 8
Si sa che non si sa chi ha mai detto, per primo, almeno nella forma a noi nota, che le parole volano. Una sola cosa è certa: chiunque ha formulato il motto per cui verba volant, scripta manent, così come a noi è pervenuto (e come poi è transitato, a calco, un po’ in tutte le lingue), avrà sì escogitato come tutti proclamano una antica massima, ma non troppo. Poiché, è evidente, apparteneva a un mondo dove non si sentenziava per stretta oralità: era, anzi, un universo in cui era praticata la scrittura, e se ne dichiaravano i vantaggi. C’è chi lo ha apparentato, come Alfredo Panzini, a «carta canta, villan dorme», aggiungendo, da narratore valente: «Un avvocato, che si era fatto ricco con le sue ciarle, scrisse su la sua villa questo motto: verba manent». Si vede bene, comunque, che non si stava ancora a discutere, poniamo del famoso codice di Artemidoro: è un documento antico davvero? È un mostruoso falso moderno? Qui, a seguire, i voli delle parole, senza ambizioni veridiche, saremo prontamente prudenti. Parliamo di ciàspola, dunque, che non si parla d’altro oggidì. I lessici che nei loro supplementi lo annove- rano lo datano 1994 e ne frugano l’etimo. Sotto mia personale responsabilità, ho controfirmato, un giorno del 2004, l’ipotesi per cui è lecito risalire «a un lat. tardo cattia, grosso mestolo, o a un alto ted. gaspja, giumella». Mi pare che nessun altro abbia osato sin qui annettere a un lessico stampato la voce ciaspolatore. Ma il 22 febbraio, qui sul «Secolo XIX», si avvertiva che Paolo della Torre, facendo appello alla cautela, affermava che il pericolo delle valanghe «è in aumento per i ciaspolatori, quelli che comprano la racchetta da neve il giorno prima, poi si avventurano senza alcuna preparazione». Nel caso di slavina, lo sciatore ha qualche chance di allontanarsi più velocemente della slavi- na, il ciaspolatore no. E «se si lasciano le piste battute il dramma può arrivare in ogni momento». Viviamo una fase iperslavinosa, climaticamente ragionando. E di ciaspolare ormai si discorre ogni giorno. Sul «Corriere della Sera», il 27 febbraio, si formulano regole «anti valanghe», firmate da Franco Brevini, che raccomanda a tutti, «con gli sci, con le ciaspole, a piedi, in motoslitta, facendo fuoripista o eliski », di fare i conti «con le situazioni che si sono venute a creare». Prendiamo «Style», nel numero doppio gennaio-febbraio 2010. Si legge che ciascuno ha le proprie «ragioni per ciaspolare. Però sono troppi, quest’anno migliaia». E la «ciaspola, per altri ciaspa oppure racchetta», proclama Daniela Monti, «è parola stramba». E insidiosa. Ma «lo sciatore non vive la montagna come il ciaspolatore». E di rincalzo, Susanna Perazzoli ci illustra la «ciaspolata perfetta». Si avverte poi che in certi masi altoatesini «al mattino si ciaspola con il proprietario e la sera si sta attorno alla stube assaggiando i prodotti locali». Insomma, non si sa più bene se sfuggire alle insidie cui si espongono gli sprovveduti avventurieri o schierarsi con ardita sfrontatezza nella elitaria schiera dei fanatici che osano il rischio squisito. Su «Style» n.3 (marzo 2010) si inneggia alle «ciaspole chic» con Ornella d’Alessio, avvertendo che nella beata Engadina si trovano occasioni per vere ciaspolate d’oro. Per l’esattezza: «piste da discesa (350 km), fondo (235 km) e ciaspolate (150 km), per finire la giornata in una pensione di charme, da raggiungere a piedi, con gli sci o in carrozza trainata da cavalli».