I segreti delle lettere greche
Con l’avvento della pergamena, circa mille e cinquecento anni fa s’imposero inchiostri diversi da quelli carboniosi adatti al papiro. Presero piede ingredienti a base metallica che la cultura greco-romana conosceva, ma solo per applicazioni particolari. Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia (XXXV, 41) descrive la preparazione dell’usatissimo atramentum, liquido annerito con fuliggine; cita però anche un saggio analitico per rivelare una frode nella vendita dei colori per pittura, il quale di fatto implica la conoscenza dell’inchiostro ferrogallico (XXXIV, 112). Negl’inchiostri d’alcuni papiri egizi sono stati trovati composti metallici, ma per quelli greci e romani si è generalmente convinti che i metalli non venissero usati.
È ora di cambiar parere. Sotto la guida di Vito Mocella, una ricerca ha coinvolto università francesi e belghe e il CNR di Napoli, anticipando almeno di tre o quattro secoli il ricorso a inchiostri a base metallica nel mondo greco-romano. Sono stati carpiti i segreti delle lettere greche scritte sui resti carbonizzati di papiri rinvenuti a Ercolano a metà Settecento du- rante lo scavo d’un pozzo, sotto gli strati di materiali eruttati dal Vesuvio nel 79 d.C. e poi nel 1631. Il 79 va ovviamente preso come terminus ante quem per la loro stesura: potrebbero essere più antichi.
La Villa dei Papiri, costruita in riva al mare circa centotrent’anni prima della celebre eruzione, aveva una biblioteca con oltre mille e ottocento rotoli: l’unica biblioteca giunta fino a noi dall’antichità greco-romana. I primi tentativi di leggere quei papiri finirono miseramente, perché lo srotolamento li mandava in bricioli. Ebbero più successo altri metodi ingegnosi, ma ora la fluorescenza a raggi X ha permesso di tracciare una mappa di distribuzione del piombo: esso è molto più concentrato in corrispondenza della scrittura, e quindi come primo effetto l’esperimento ha avuto quello di renderla assai più visibile.
Ci si è poi domandati se la presenza di questo elemento metallico fosse deliberata. Sarebbe potuta derivare dall’acqua usata nella preparazione dell’inchiostro. In effetti le tubazioni romane di piombo inquinavano l’acqua, ma a un livello molto minore di quello riscontrato nei frammenti usati per le indagini. La contaminazione da parte degli atramentaria (calamai), se fatti d’un bronzo particolarmente impuro di piombo, è stata esclusa perché allora si sarebbe dovuto trovare nello scritto anche rame. Non resta che l’aggiunta intenzionale d’un composto di piombo. Potrebbe essersi trattato di galena, cioè d’un solfuro: nello scritto lo zolfo non abbonda quanto il piombo, ma tuttavia non se ne può escludere la presenza iniziale, poi annullata dal forte riscaldamento durante l’eruzione del 79, che potrebbe aver trasformato il solfuro in ossido. Verosimile sarebbe anche l’impiego dell’ossido di piombo detto litargirio, se lo scriba avesse usato un inchiostro grasso anziché acquoso: in tal caso avrebbe avuto la funzione d’accelerarne l’indurimento.