Su i gusti si discute. E si cambiano
Un rabbino ordina del borsch al ristorante. Dopo che il cameriere ha portato all’ospite il piatto di zuppa, il rabbino comincia a mangiare. «Cameriere, il borsch non è abbastanza aspro!» «Quello non è borsch, è buljong », risponde il cameriere con noncuranza. «Ah, allora se è buljong è aspro al punto giusto».
Il borsch è una zuppa popolare nell’Est europeo, mentre il buljong è un semplice brodo. La barzelletta allude alla rassegnazione degli ebrei ed è tratta da un libro di Alexander Moszkowski del 1922, quando si poteva ancora scherzare con leggerezza sui witz ebraici che irridevano alla remissiva capacità di adattamento di una cultura che sapeva “farsi piacere” le cose, e non subirle. C’è un lato melanconico nel rabbino che ordina un tipo di minestra, protesta, ne accetta un’altra, e finisce per apprezzare il buljong «aspro al punto giusto». E tuttavia la storia del “farsi piacere le cose” può anche avere un lato gioioso e liberatorio.
Chiara, la protagonista del romanzo Per dieci minuti di Chiara Gamberale, viene lasciata dal marito. Per reagire al senso di abbandono la terapeuta le dice: «Per un mese, a partire da subito, per dieci minuti al giorno, faccia una cosa che non ha mai fatto». Appena uscita dallo studio dell’analista, Chiara va dall’amica del cuore, Cristina, proprietaria di un centro estetico. Le spiega il gioco dei dieci minuti, e Cristina: «Togliti le scarpe e siediti». Chiara si ritrova le unghie dei piedi e delle mani ricoperte da uno smalto color rosa-fucsia. Che schifo, la prima reazione. Ma, alla fine: «Non mi piacciono, ma forse invece sì. Sono talmente poco mie … che, per contrasto, mi fanno quasi simpatia». Cristina è riuscita a regalare all’amica un gusto sorprendente e ha costruito la prima tappa per una nuova Chiara che, alla fine della storia, a forza di «dieci minuti», è diventata una persona più ampia, libera e proiettata nel futuro.
Sul confine tra questi due poli del “farsi piacere”, tra l’adattarsi alle circostanze e l’ampliamento dell’io, si muove il saggio Farsi piacere di Emanuele Arielli. Ci sono fondamentalmente due tipi di strategie nel farsi piacere le cose. Possiamo provarle, grazie all’azione nostra o altrui, come nel caso dello smalto fucsia, e scoprire che finiscono per piacerci, anche se inizialmente non ci garbavano. E l’esito non è la rassegnazione tollerante, come nel caso del rabbino: possono essere veramente cambiati i nostri gusti. Siamo diventati persone diverse.
Ci sono poi le strategie basate sul pensiero, o meglio, su un cambio di prospettiva mentale che ci fa apprezzare le cose. Questo cambio di prospettiva è il risultato di un ar- ricchimento culturale, dell’aver appreso quel che ci permette di gradire nuovi tipi di musiche, film, libri, eventi dell’arte contemporanea, altre cose o persone che, in precedenza, erano estranee o spiacevoli.
Arielli esplora il confine tra il mondo dei gusti come conquista personale e come costruzione che altri fanno per noi. È più facile cambiare i gusti nei campi della moda e del vestiario oppure delle tendenze culinarie e dei nuovi cibi? Rispondere a queste domande ci mostra come siamo fatti e quanto siamo modificabili. Su un piano collettivo, il tema della costruzione di gusti nuovi s’intreccia con quello dell’evoluzione dell’arte contemporanea.
Un ormai classico manuale su L’arte dal 1900, scritto da Foster, Krauss, Bois e Buchloch (2004), è basato su un continuo parallelo e confronto tra movimenti artistici innovativi ed eventi sociali e politici. Da questo influenzarsi reciproco traggono origine nuovi stili, estendendo il perimetro artistico a quanto ci appariva estraneo o addirittura spiacevole. Usando gli strumenti di Arielli si può cercare di capire i meccanismi deterministici o casuali che producono queste influenze reciproche.
Emanuele Arielli, Farsi piacere. La costruzione del gusto, Cortina, Milano, pagg.169, € 13