Il Sole 24 Ore

Su i gusti si discute. E si cambiano

- Paolo Legrenzi

Un rabbino ordina del borsch al ristorante. Dopo che il cameriere ha portato all’ospite il piatto di zuppa, il rabbino comincia a mangiare. «Cameriere, il borsch non è abbastanza aspro!» «Quello non è borsch, è buljong », risponde il cameriere con noncuranza. «Ah, allora se è buljong è aspro al punto giusto».

Il borsch è una zuppa popolare nell’Est europeo, mentre il buljong è un semplice brodo. La barzellett­a allude alla rassegnazi­one degli ebrei ed è tratta da un libro di Alexander Moszkowski del 1922, quando si poteva ancora scherzare con leggerezza sui witz ebraici che irridevano alla remissiva capacità di adattament­o di una cultura che sapeva “farsi piacere” le cose, e non subirle. C’è un lato melanconic­o nel rabbino che ordina un tipo di minestra, protesta, ne accetta un’altra, e finisce per apprezzare il buljong «aspro al punto giusto». E tuttavia la storia del “farsi piacere le cose” può anche avere un lato gioioso e liberatori­o.

Chiara, la protagonis­ta del romanzo Per dieci minuti di Chiara Gamberale, viene lasciata dal marito. Per reagire al senso di abbandono la terapeuta le dice: «Per un mese, a partire da subito, per dieci minuti al giorno, faccia una cosa che non ha mai fatto». Appena uscita dallo studio dell’analista, Chiara va dall’amica del cuore, Cristina, proprietar­ia di un centro estetico. Le spiega il gioco dei dieci minuti, e Cristina: «Togliti le scarpe e siediti». Chiara si ritrova le unghie dei piedi e delle mani ricoperte da uno smalto color rosa-fucsia. Che schifo, la prima reazione. Ma, alla fine: «Non mi piacciono, ma forse invece sì. Sono talmente poco mie … che, per contrasto, mi fanno quasi simpatia». Cristina è riuscita a regalare all’amica un gusto sorprenden­te e ha costruito la prima tappa per una nuova Chiara che, alla fine della storia, a forza di «dieci minuti», è diventata una persona più ampia, libera e proiettata nel futuro.

Sul confine tra questi due poli del “farsi piacere”, tra l’adattarsi alle circostanz­e e l’ampliament­o dell’io, si muove il saggio Farsi piacere di Emanuele Arielli. Ci sono fondamenta­lmente due tipi di strategie nel farsi piacere le cose. Possiamo provarle, grazie all’azione nostra o altrui, come nel caso dello smalto fucsia, e scoprire che finiscono per piacerci, anche se inizialmen­te non ci garbavano. E l’esito non è la rassegnazi­one tollerante, come nel caso del rabbino: possono essere veramente cambiati i nostri gusti. Siamo diventati persone diverse.

Ci sono poi le strategie basate sul pensiero, o meglio, su un cambio di prospettiv­a mentale che ci fa apprezzare le cose. Questo cambio di prospettiv­a è il risultato di un ar- ricchiment­o culturale, dell’aver appreso quel che ci permette di gradire nuovi tipi di musiche, film, libri, eventi dell’arte contempora­nea, altre cose o persone che, in precedenza, erano estranee o spiacevoli.

Arielli esplora il confine tra il mondo dei gusti come conquista personale e come costruzion­e che altri fanno per noi. È più facile cambiare i gusti nei campi della moda e del vestiario oppure delle tendenze culinarie e dei nuovi cibi? Rispondere a queste domande ci mostra come siamo fatti e quanto siamo modificabi­li. Su un piano collettivo, il tema della costruzion­e di gusti nuovi s’intreccia con quello dell’evoluzione dell’arte contempora­nea.

Un ormai classico manuale su L’arte dal 1900, scritto da Foster, Krauss, Bois e Buchloch (2004), è basato su un continuo parallelo e confronto tra movimenti artistici innovativi ed eventi sociali e politici. Da questo influenzar­si reciproco traggono origine nuovi stili, estendendo il perimetro artistico a quanto ci appariva estraneo o addirittur­a spiacevole. Usando gli strumenti di Arielli si può cercare di capire i meccanismi determinis­tici o casuali che producono queste influenze reciproche.

Emanuele Arielli, Farsi piacere. La costruzion­e del gusto, Cortina, Milano, pagg.169, € 13

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