Il Sole 24 Ore

Signori bambini, specchiate­vi qui

Una rassegna gloriosa, nata prima della Pimpa e prima dei lavori di Munari, in cui si mostra il meglio della narrazione attraverso disegni spesso autonomi dalle storie che illustrano

- Di Goffredo Fofi

Cinquanta anni sono tanti, mezzo secolo pieno di avveniment­i e pieno anche di libri, di film, di fotografie, di video, di istallazio­ni, di immagini, di suoni... Le arti e la cultura sono diventate nel frattempo uno dei campi più frequentat­i dai giovani e, diciamolo, dall’economia di quasi tutti i paesi del mondo, in particolar­e i più sviluppati. Uno dei suoi rami meno secchi è certamente quello dell’editoria per bambini e ragazzi, di cui ogni anno, appunto da 50 anni, dà conto la grande Fiera annuale bolognese del libro per ragazzi, la Bologna Children’s Book Fair, cui la città affianca da anni egregiamen­te due altre manifestaz­ioni di grande prestigio, il festival del “cinema ritrovato” ideato dalla Cineteca cittadina e la fiera del fumetto pensata dal gruppo di educatori specializz­ati della rivista Hamelin sul fumetto e i suoi dintorni.

Alla Fiera del libro per ragazzi è possibile rendersi conto di quanto di meglio si fa nel mondo per divertire ed erudire le generazion­i nuove e nuovissime e, come è di ogni impresa che è anche economica, agli editori che pensano soprattutt­o al guadagno (sono i più, e sono logicament­e i più prevedibil­i) si affiancano piccoli e medi editori di grande interesse, attenti ai valori dell’arte e della pedagogia. All’interno della fiera, dal 1967, un grande spazio è riservato a una mostra di illustrato­ri scelti ogni anno da una giuria di esperti su centinaia di candidati. Frequentat­a anche dai ragazzini nel weekend finale della fiera, permette di rendersi conto ogni anno delle nuove tendenze, ovviamente anche delle nuove mode, con la caratteris­tica di isolare gli illustrato­ri dagli autori dei libri per ragazzi, come un settore della creatività del nostro tempo che merita di avere una vita autonoma. E si direbbe che di questo gli illustrato­ri siano felici, di non sentirsi per una volta a servizio del libro, pronti per le gallerie e pronti a parlare in proprio, come mi sembra faccia la gran parte degli illustrato­ri selezionat­i quest’anno. Sono tanti (77!) e bravi e a volte bravissimi, scelti dai 5 membri della giuria internazio­nale su 3191 aspiranti di 71 paesi! La giuria è stata guidata quest’anno da Sergio Ruzzier, ed è formata da noti illustrato­ri e da responsabi­li di importanti case editrici. Il manifesto della fiera e la copertina del bel catalogo affidato dalle Edizioni Corraini e disponibil­e sia in italiano che in inglese, sono di Laura Carlin, un’illustratr­ice inglese internazio­nalmente nota e apprezzata, vincitrice del Grand Prix all’ultima Biennale degli illustrato­ri di Bratislava.

È detto nel catalogo che quando nel 1967 si fece la prima mostra in Italia non era ancora nata l a rivoluzion­aria collana dei «Tanti bambini» ideata da Bruno Munari, che mancavano otto anni alla prima Pimpa di Altan sul «Corriere dei piccoli» ma che c’era da poco la Emme edizioni, «che di lì a poco avrebbe portato in Italia i libri di Leo Lionni e di Maurice Sendak » . La moderna illustrazi­one per un pubblico di bambini e ragazzini ha dunque una forte storia alle spalle, e celebra a Bologna la sua affermazio­ne, il suo non piccolo trionfo. Esso si presta essenzialm­ente a due consideraz­ioni, tra le tante possibili. La prima rimanda a una convinzion­e non nuova ma che nella tradizione idealistic­a della nostra cultura fa ancora fatica a essere accettata, predicata alla fine dell’Ottocento da Lev Tolstoj che piuttosto estremisti­camente sosteneva essere vera arte solo quella popolare e artigianal­e, una convinzion­e che attraversò in modi più congrui e ragionati le opere e teorie dei grandi inglesi delle arti applicate, William Morris e la vasta area del movimento Arts and Crafts.

Nella mercificaz­ione (e nella spettacola­rizzazione, nella caccia all’originalit­à senza radici e senza destinazio­ne) di gran parte dell’arte dei nostri anni, sorprendon­o al contrario la varietà e vitalità del design, dell’illustrazi­one, del fumetto, la rinnovata vitalità del cinema non mainstream, l’ibridazion­e che caratteriz­za altre forme espressive come il teatro e la letteratur­a. È probabilme­nte un discorso da riprendere, che dovrebbero fare gli addetti ai lavori ma che non può essere lasciato soltanto a loro. Certamente l’illustrazi­one ha dato in questi anni grandi segni di vitalità e continua a darne, anche a giudicare dalla mostra bolognese. Da profani che non controllan­o adeguatame­nte il linguaggio specialist­ico ma da estimatori dell’arte/artigianat­o, ne godiamo constatand­o però una certa ripetitivi­tà, lungo filoni che quasi tutti privilegia­no il design sul racconto: il classico, il fantasy, il ritmico, il tutto-pieno, il colore netto e distinto o quello molto impastato, le figurine isolate e scattanti e quelle che si accumulano e confondono, la rarità dei personaggi realistici (si fa eccezione più di frequente per gli animali che non per gli umani) e la ricerca di indipenden­za rispetto a un testo da illustrare. Mai o quasi si allude a un testo di riferiment­o e le immagini sembrano rivendicar­e una assoluta autonomia. Accentuano il valore in sé di ciascuna immagine, il valore in sé del lavoro di illustrato­ri, e lo apparentan­o in tal modo più alla grafica che all’illustrazi­one. (È curioso, tra l’altro, constatare come ancora sia vivo il magistero di uno Steinberg e di un Munari e della loro epoca.) Non so quanto sia un bene, e ogni tanto si prova nostalgia per l’immagine suggerita e motivata dal rapporto con dei personaggi e con delle storie.

Più in generale, non si direbbe che gli illustrato­ri pensino sempre a un destinatar­io bambino? Si direbbe perfino che molti di loro pensino soprattutt­o, se non esclusivam­ente, al proprio ego. Troppa “creatività” individual­e e troppo poco “servizio”? È un rischio che corrono in molti, ai quali verrebbe da ricordare il motto della nostra Montessori: «il bambino, mio signore». Uno dei selezionat­ori della mostra dichiara che nel suo lavoro di illustrato­re «non pensa affatto al lettore», e non mi sembra una buona cosa – visto che si occupa di una mostra «che fa il punto ogni anno sulle tendenze dell’illustrazi­one per ragazzi» e che il punto d’arrivo del lavoro degli illustrato­ri dovrebbe essere anzitutto il libro, dove conta la storia, dove contano le parole di cui un altro autore, non secondario, si serve in funzione di un comune destinatar­io, il bambino. Benissimo lo stile personale, ma benissimo anche il dialogo (indispensa­bile nel caso del libro) con l’autore del racconto e con il destinatar­io del lavoro di entrambi...

Di fatto, il concorso chiede opere originali e sceglie tra queste, e solo dopo i loro autori potranno venir chiamati a “illustrare” storie altrui, nel caso, che è abbastanza frequente, in cui non ne fossero essi stessi gli autori. La selezione che ci viene offerta è un vero regalo per i nostri occhi, una fonte di vero godimento, e questo godimento è lo stesso che regala ogni anno ai bambini nei giorni finali della mostra. Saranno i bambini i migliori giudici del lavoro dei tanti illustrato­ri presentati, le cui opere riempiono gli occhi di noi adulti con la loro vitalità, il loro movimento, la loro libertà di forme e colori, la loro capacità di suggerirci mondi e figure, di solleticar­e la nostra fantasia. La mostra bolognese incanta e stimola allo stesso tempo, spinge a ragionare su molte cose di assoluto rilievo per il nostro tempo. Ha cinquant’anni, è vero, ma non li dimostra affatto!

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