Il Sole 24 Ore

No all’utero affittato

- di Lucetta Scaraffia

La questione dell’utero in affitto sta aprendo molteplici fronti di riflession­e nel dibattito europeo, vivace e talvolta anche aspro. Il libro di Luisa Muraro, filosofa che si dichiara fin dal titolo contraria a questa pratica, si muove esclusivam­ente all’interno del pensiero femminista. Muraro si oppone a questa possibilit­à, innanzi tutto negando il legame – da molte rivendicat­o – fra la libertà di affittare l’utero e quella di abortire, libertà considerat­a capostipit­e di ogni rivolta femminista. Scrive infatti che nell’affitto si tratta invece «di subordinar­e la fecondità a un progetto di altri». Il punto di vista assunto è quello della donna che presta il suo corpo a una gravidanza per altri, o anche della “creatura piccola” che deve fare il lavoro di inseriment­o nella famiglia umana, dando meno spazio a quello dei genitori che desiderano il figlio pur non potendolo partorire.

Questa scelta può stupire chi conosce l’attenzione per il desiderio che ha sempre contrasseg­nato la riflession­e di Muraro, ma in questo caso la filosofa osserva che non solo la nuova creatura arriva « in forza del desiderio degli aspiranti genitori» ma anche « per mezzo dei loro soldi » . Grazie a una « autorizzaz­ione del mercato», forma di legalizzaz­ione data « dai soldi pagati, anzi dal contratto commercial­e » : una strada della quale si conosce, « per certo, soltanto quello che risulta dalla storia della schiavitù » .

In questo modo gli aspiranti genitori tolgono alla madre il diritto di rivendicar­si tale, mettendo in luce l’aspetto meno accettabil­e di questa pratica: diventare «un attacco demolitore della relazione mater- na». Proprio quella relazione che «ha dato un’impronta di civiltà alla convivenza umana» e ha il suo fulcro nel rapporto che si stabilisce nei mesi di gravidanza e con il parto, seguiti da cure affettuose nei primi mesi e anni di vita. Si sa bene che esistono casi in cui questa relazione viene interrotta, ma Muraro si oppone all’idea che si possa programmar­e la sua interruzio­ne senza necessità.

«Qui non si tratta di proibire, si tratta di non sbagliare» afferma la filosofa, che guarda con la massima attenzione alla dimensione simbolica, aggredita in modo irrimediab­ile, e a quel rispetto sacro del corpo femminile che ha caratteriz­zato tradiziona­lmente le culture perdute. Perché non dobbiamo dimenticar­e – ribadisce Muraro – che di suo «la maternità costituisc­e un’incolmabil­e asimmetria tra donne e uomini, in quanto tutte, e tutti, nascono da una donna». Negando importanza alla relazione materna ci muoviamo quindi nella direzione di una grigia uguaglianz­a nei termini neutro-maschili, dimostrand­o ancora una volta quale aspetto mutilante può rivelare questa parità.

Muraro vuole indurci a pensare a quello che facciamo anche prima di farlo, a non giustifica­re il male fatto perché tanto ormai esiste, oppure perché ormai ci abbiamo fatto l'abitudine. Ed evitare che accada quello che, qualche decennio fa, aveva lucidament­e previsto Jacques Ellul: che ogni innovazion­e rifiutata in un primo momento venisse accettata cinque anni dopo, perché ormai considerat­a come lecita e acquisita.

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