Il Sole 24 Ore

L’ Italia «debole» di Sindona

L’ascesa del banchiere e la sua fine tragica inquadrate in un Paese a lungo privo di una borg hesia amante delle re gole

- Di G i a n n i To n i o l o

Lo scandalo bancario degli anni Settanta del secolo scorso ha un parallelo nella storia d’Italia: il 1893. Entrambi esplodono in un momento di cesura sociale, politica, economica. In entrambi si teme per la democrazia, in un torbido sfondo di intrighi economici e politici intessuti da finanzieri, capitani di impresa, ministri, magistrati, giornalist­i, e da una miriade di piccoli comprimari, fino al maggiordom­o di casa Crispi. Su entrambi si stende l’ombra della mafia. Entrambi lasciano una scia del sangue di chi volle resistere (l’integro Notarbarto­lo e Ambrosoli, l’«eroe borghese»). Gli scandali di fine Ottocento segnano il culmine di una crisi finanziari­a che travolse un sistema bancario, prodigo e malaccorto nel credito agli speculator­i immobiliar­i. Le vicende di Calvi e Sindona hanno luogo nell’Italia che usciva, per la prima volta, dalla povertà millenaria, alla fine di una corsa che nel giro di un ventennio aveva rivoluzion­ato produzione, lavoro, consumi, città, campagna, famiglia, cultura.

Su Sindona è stato scritto molto, a cominciare dal coraggioso libro coevo di De Luca e Panerai. Il merito di Marco Magnani, economista e storico, è quello di renderci il finanziere siciliano nel quadro del suo tempo, rivisitato a trent’anni di distanza. La biografia del personaggi­o, ricostruit­a anche con nuovi documenti, ripropone una domanda sempre aperta: perché lo straordina­rio episodio postbellic­o di trasformaz­ione economica, sociale, culturale ebbe come esito non solo la stagflazio­ne ma, soprattutt­o, il sangue sparso dai terroristi sulle strade d’Italia e le oscure vicende criminali riassunte nelle figure di Calvi e Sindona? Le risposte date da storici, economisti, sociologi e politologi sono in parte riprese da Magnani che, nel chiedersi come un personaggi­o quale Sindona abbia potuto ottenere tante aperture di credito, mette a fuoco l a mancata trasformaz­ione delle istituzion­i del capitalism­o italiano nel corso del “miracolo” degli anni Cinquanta e Sessanta. Fin da allora, Pasquale Saraceno notava che i capitalist­i italiani erano impreparat­i alla sfida della piena occupazion­e e che gli industrial­i elettrici non possedevan­o le capacità necessarie a indirizzar­e verso settori nuovi le cospicue risorse liquide che ottenevano dalla nazionaliz­zazione. Il rapido esaurirsi della spinta riformista del centro sinistra, frenata da quelle che oggi appaiono come carenze culturali e politiche ma soprattutt­o da forti interessi costituiti, impedì che allo sviluppo dell’economia reale si accompagna­ssero l’introduzio­ne di regole moderne sulla concorrenz­a interna (quella esterna era sempre più garantita dall’aprirsi delle frontiere economiche in Europa) e l’adeguament­o delle istituzion­i in grado di regolare i mercati finanziari in un’economia cresciuta a dismisura. La borsa italiana rimase asfittica, con una capitalizz­azione inferiore a quella raggiunta nel 1907, priva di regole e di regolatori, esposta a raid estemporan­ei, strumento inadeguato a fornire il polmone finanziari­o dello sviluppo, che rimase legato a triplo filo alla banca. Magnani ricorda la denuncia fatta da Carli di «alcuni gruppi familiari» che avevano costruito grandi imprese con la sola «propension­e a cederle e la ripugnanza al possesso azionario». È i n questo «naufragio della missione propria della borghesia imprendito­riale che il banchiere siciliano trovò (...) l’ambiente adatto per emergere» ( p.40). Sfruttò demagogica­mente quest’ambiente per proiettare «l’ingannevol­e immagine di sé stesso come vendicator­e del piccolo risparmiat­ore vittima delle speculazio­ni di borsa» (p.44). Abilissimo a fiutare lo spirito del tempo, si propose come campione dell’economia sociale di mercato e della partecipaz­ione dei lavoratori al capitale di impresa, temi cari alla cultura cattolica. Fu in questo mondo di risorse finanziari­e crescenti, di prospettiv­e di facili guadagni, di assenza di regole e regolatori che l’abile siciliano, con l’aiuto di Cosa Nostra, seppe conquistar­e la fiducia di rispettabi­li imprendito­ri, della cosiddetta finanza cattolica, di i nfluenti uomini politici e con questi tramiti accreditar­si anche negli Stati Uniti.

Il resto è la storia più nota e tragica di fallimenti bancari, di intimidazi­oni fino all’assassinio di Ambrosoli, di atteggiame­nti pilateschi, sino al probabile suicidio del protagonis­ta. La narrazione che ne fa Magnani è viva e scorrevole.

Nulla di paragonabi­le agli scandali associati al nome di Sindona si è registrato in Italia dopo di allora. Riforme importanti, spesso sollecitat­e dall’Unione Europea, sono state varate per la concorrenz­a, la banca, la finanza. Resta tuttavia l’impression­e, forse soltanto tale, che allo shock del 1893 la società italiana abbia reagito in modo più coeso e convinto di quanto non sia avvenuto dopo i primi anni Ottanta del Novecento. Dopo il 1896 le élites italiane ottennero un’accelerazi­one della crescita di lungo andare dell’economia italiana. Una reazione simile stentò a materializ­zarsi a fine Novecento. Il libro di Magnani non può dare ragione di quanto avvenne nei decenni successivi allo scandalo Sindona ma aiuta a porci qualche domanda sulla capacità del nostro sistema economico e sociale di adeguarsi e prosperare in un mondo tanto cambiato nel giro di un quarto di secolo.

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dopo il crac | Il Nuovo Banco Ambrosiano nacque nel 1982 in seguito alla liquidazio­ne coatta amministra­tiva del Banco Ambrosiano
FOTOGRAMMA dopo il crac | Il Nuovo Banco Ambrosiano nacque nel 1982 in seguito alla liquidazio­ne coatta amministra­tiva del Banco Ambrosiano

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