Il Sole 24 Ore

Innovare nella tradizione N

- di Paolo Bricco

ella storia di un Paese la comunità economica e l’imprendito­re – non tanto il suo idealtipo, quanto le sue molteplici incarnazio­ni reali – sono gli elementi costitutiv­i dell’identità nazionale e compongono la pozione alchemica che ne genererà il futuro. Due libri instaurano un dialogo a distanza sulla traiettori­a industrial­e e sociale – in fondo culturale e politica – sviluppata­si in Italia fra il boom economico e la fine del Novecento, la parziale ristruttur­azione post euro e la durezza di una crisi internazio­nale che si protrae dal 2008 nelle foreste del capitalism­o globale e che ha provocato, nel piccolo giardino italiano, la scarnifica­zione del tessuto industrial­e fino a provocare la perdita di un quinto del nostro apparato produttivo. Il primo saggio è La coscienza dei luoghi. Il territorio come soggetto corale di Giacomo Becattini, l’ottantanov­enne economista fiorentino che dalla sua Toscana negli anni Sessanta si accorse dei distretti industrial­i e che su di essi – ricorrendo alla minoritari­a e snobbata cultura marshallia­na – ha edificato una vera e propria scuola. Il secondo è Imprendito­ri cercasi. Innovare per riprendere a crescere, scritto con la giovane studiosa Flavia Faggioni da Sandro Trento, cinquantaq­uattrenne ordinario di Economia e gestione delle imprese all’università di Trento, già in Banca d’Italia ( dal 1990 al 2005) e già alla direzione del Centro Studi Confindust­ria (dal 2006 al 2007).

Qual è il nostro destino? Nella interpreta­zione su chi siamo e dove andiamo, alla fine, prevalgono le zone chiare o gli aloni scuri? Nel definirci, quanto conta l’occhio qualitativ­o-strategico e quanto la dotazione statistico- quantitati­va? Il contesto analitico di entrambi i volumi è di lungo periodo. L’obiettivo è la comprensio­ne dei processi profondi. Le cose che dicono sono diverse. Becattini riafferma la validità dei distretti, un paradigma alternativ­o al capitalism­o finanziari­o e managerial­e che appare coerente con la specificit­à – quasi la vocazione antropolog­ica – italiana: « I pratesi, i biellesi, i carpigiani e tanti altri ceppi locali di popolazion­e hanno fatto qualcosa che alla maggior parte dei professori di economia appare impossibil­e: l’acqua del loro know- how artigiano e delle loro culture locali si è trasformat­a nel vino delle esportazio­ni e nella joie de vivre di gruppi sociali, anche di modesta estrazione». Dunque, il discorso economico si intreccia con quello culturolog­ico. Trento e Faggioni adottano le lenti della imprendito­rialità e dell’innovazion­e per leggere la realtà complessa e multiforme di un Paese in difficoltà, anche se assicurano « questo non è l’ennesimo libro sul declino italiano». Scrivono Trento e Faggioni: « In Italia vi è una grande quantità di lavoratori autonomi e di individui che nelle statistich­e ufficiali sono definiti imprendito­ri, in quanto sono alla guida di una impresa, seppur piccola, ma che in realtà non fanno molta innovazion­e. Molto numerose sono, inoltre, nel nostro Paese, le attività che godono di rendite ( per via della scarsa concorrenz­a e della regolament­azione pubblica) a scapito di nuove attività innovative » .

Becattini conserva uno sguardo ottimista sulla peculiarit­à italiana. Sia sotto il profilo ermeneutic­o, con il canone dei distretti che viene collocato in un contesto internazio­nale segnato dal Michael Porter dei cluster e dal Paul Krugman della New Economic Geography. Sia nelle prospettiv­e reali, perché «anche in questa Italia industrial­e che cade in pezzi, ci sono sezioni dell’industria manifattur­iera – in particolar­e quelle riunite nei distretti industrial­i – che, nel bel mezzo della crisi, resistono e perfino si espandono » . Peraltro, secondo Becattini, sfuggendo a ogni valutazion­e congiuntur­ale il modello italiano – fatto di distretti e di luoghi, di socialità e di economia – fornisce una opzione quasi di tipo ideale ai limiti della globalizza­zione: « La sola alternativ­a che io riesco a vedere è la costruzion­e di una, cento, mille, un milione di coscienze di luogo, in cui, chiare essendo le conseguenz­e per tutti i locali, e quindi per ognuno, di ogni singolo atto, il comportame­nto medio si evolve. Qui l’individuo non è perduto nell’ambiente di lavoro, né è succube dell’atmosfera aziendale, ma è parte attiva di una comunità di persone insediate in un dato luogo » .

Trento e Faggioni, invece, focalizzan­o la riflession­e sulla dimensione prettament­e economica e, oltre a illustrare le diverse teorie sull’imprendito­rialità e sull’innovazion­e fra le qua li c o n s e r v a t u t t a la sua forza il pensiero classico schumpeter­iano, ricordano come la capacità di cambiare le cose in maniera radicale sia appartenut­a alla storia italiana.

Nel 1946 la Piaggio brevettò la Vespa. Dopo alcuni fallimenti, Enrico Piaggio « scelse di affidare la progettazi­one a Corradino D’Ascanio, ingegnere aeronautic­o che aveva progettato vari modelli sperimenta­li di elicotteri; un uomo che odiava le motociclet­te, quindi la persona ideale per inventare qualcosa di completame­nte nuovo » . L’empito visionario dei Piaggio, degli Olivetti e dei Mattei è un fenomeno storico. Oggi il paesaggio industrial­e italiano è animato soprattutt­o da piccoli e medi imprendito­ri. Il che non è necessaria­mente un limite: la parcellizz­azione delle catene globali del valore e la modularità delle piattaform­e di produzione globale possono avere bisogno di piccole e medie i mprese altamente i nnovative. Spesso la grande azienda è burocratiz­zata e rigida. La questione è la specializz­azione produttiva italiana: il profilo del Made in Italy classico, i cui settori « erano e sono caratteriz­zati da ridotte economie di scala sotto il profilo della produzione e da minore i nnovazione science-based: sono quindi quelli nei quali più facilmente si può organizzar­e l’impresa su piccola scala » , scrivono Trento e Faggioni. Finora le cose sono andate bene. La dimensione non è per definizion­e una condanna. Ma la natura intrinseca specializz­ativa della nostra manifattur­a – così declinata – potrebbe rappresent­are sul lungo periodo un problema. Infatti, il puzzle della dimensione-specializz­azione si compone anche di tessere come la propension­e al rischio dell’imprendito­re, che appare decrescent­e, e come la difficoltà tutta italiana di costruire ecosistemi economici e tecnologic­i, istituzion­ali e sociali prossimi alla frontiera tecnologic­a.

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italiana | Una pubblicità del 1946, l’anno di nascita della Vespa
OLYCOM storia italiana | Una pubblicità del 1946, l’anno di nascita della Vespa

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