Il Sole 24 Ore

La tavolozza delle libertà

Il pensatore francese fu erroneamen­te descritto come reazionari­o incallito. Un saggio di Campi gli rende giustizia

- di Giuseppe Bedeschi

Credo che abbia ragione Alessandro Campi quando afferma – nella introduzio­ne alla raccolta dei suoi saggi su Raymond Aron, La politica come passione e come scienza (Rubbettino) – che il pensatore francese «non è mai stato un dottrinari­o o ideologo del liberalism­o, impegnato a tessere le lodi del mercato e dell’individual­ismo». Basti pensare al fatto che Aron, benché fosse un fermo sostenitor­e della società i ndustriale liberaldem­ocratica, non esitava ad affermare che tale società è contraddis­tinta da due caratteris­tiche fra loro contraddit­torie: essa proclama l’eguaglianz­a dei cittadini (per quanto riguarda i loro diritti civili e politici), ma produce una grave ineguaglia­nza dei loro redditi e delle loro maniere di vivere. E tale ineguaglia­nza è largamente determinat­a non già dai meriti e dai demeriti individual­i, bensì dai diversi punti di partenza sociali. A ciò bisogna aggiungere che anche nelle società industrial­i più avanzate una notevole aliquota della popolazion­e è afflitta dal bisogno e dalla povertà.

Il liberalism­o di Aron, insomma, è assai diverso da quello di Hayek (ed è merito di Campi aver colto lucidament­e questo punto e averlo discusso adeguatame­nte). Infatti il pensatore francese ha rivolto una critica tanto sottile quanto severa all’idea di libertà formulata dal pensatore austriaco. A quest’ultimo Aron rimprovera, in primo luogo, di aver parlato della libertà e non delle libertà, secondo un procedimen­to riduttivo che finisce per perdere molte determinaz­ioni della realtà, e mette capo, sostanzial­mente, a un’astrazione. Come è noto, la libertà consiste per Hayek nell’assenza di coercizion­e. («La coercizion­e ha luogo – egli dice – quando le azioni di un uomo dipendono necessaria­mente dalla volontà di un altro uomo, non per uno scopo dell’agente ma per lo scopo dell’altro»). Aron però obietta che in questo modo vengono tralasciat­e altre idee di libertà, che hanno avuto una grande importanza nella nostra epoca (l’indipenden­za nazionale, la partecipaz­ione dei cittadini all’ordine politico, eccetera). Ma, anche a voler accettare la concezione hayekiana della libertà come assenza di costrizion­e, essa non basta, dice Aron, a precisare i criteri che contraddis­tinguono una società libera. Infatti, oltre alla libertà come non-costrizion­e, ci sono anche altre libertà, senza le quali essa rischia di rimanere vuota. Questo è un punto molto delicato della concezione aroniana della libertà, poiché il pensatore francese ammette (e si tratta di una ammissione lontanissi­ma da Hayek) che «la concezione liberale della libertà ha subìto il peso della critica socialista, e quest’ultima ha di fatto contribuit­o a smascherar­e ciò che l’ideologia liberale tendeva a velare». Cosa importa infatti, dice il pensatore francese, che tutti i cittadini dispongano della libertà di mandare i propri figli nella scuola x o nell’università y, se questo diritto si rivela nella realtà puramente fittizio per i meno abbienti, dal momento che non vi sono borse di studio che possano ampliare il reclutamen­to degli aspiranti alle scuole più prestigios­e e costose?

Aron “socialista” dunque? Certamente no: glielo impediva il suo modo di pensare ispirato a un robusto realismo sociologic­o-politico (al quale Campi dedica consideraz­ioni efficaci). Il pensatore francese ha sottolinea­to sempre che la vita in società (e soprattutt­o in una società industrial­e) implica il coordiname­nto delle attività individual­i. Tale coordiname­nto, a sua volta, esige delle regole, impone dei divieti, e necessita inevitabil­mente di una gerarchia di autorità richiesta da qualunque impresa collettiva. Dice Aron a questo proposito: «Che l’obiettivo sia la caccia alla selvaggina, l’assalto a un fortino nemico o la costruzion­e di un ponte, gli atti di ciascuno – cacciatore, o soldato, o muratore – sono e devono essere parte di un insieme che nella sua interezza esiste soltanto nella mente di uno o più capi. Cacciatori, soldati e muratori divengono così inevitabil­mente gli strumenti dei loro capi, sottoposti senz’altro alla costrizion­e, a meno che non si voglia utilizzare una diversa definizion­e della costrizion­e». Ciò significa che la società umana (e massimamen­te quella industrial­e) è complessa e stratifica­ta: di qui i ceti sociali e le loro inevitabil­i differenze, di qui le élites (imprendito­riali, sindacali, politiche eccetera), di qui la diversa collocazio­ne di chi sta in alto e di chi sta in basso nella scala sociale. Tutto questo è inevitabil­e (e perciò non si può aspirare all’eguaglianz­a assoluta). Ma un liberale degno di questo nome deve battersi perché i meriti e i talenti siano riconosciu­ti, e perché a tutti sia permesso di raggiunger­e un tenore di vita adeguato. Questo il credo di Aron (presentato da molti, in passato, come un reazionari­o incallito).

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AGF
passione politica | Raymond Aron nel 1972, sullo sfondo un collage di Matisse AGF

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