Il Sole 24 Ore

Il patrimonio? Nel territorio

- di Angelo Varni

Quanto meno duplice appare l’intento di Roberto Balzani nell’inserirsi, con questa originale ricerca da lui curata, nel sempre più fitto - e spesso pesantemen­te ideologizz­ato - dibattito relativo alla salvaguard­ia, alla gestione, alla valorizzaz­ione dei “beni culturali”.

Da un lato offrire, attraverso inedite carte d’archivio, esempi significat­ivi del progressiv­o storico sedimentar­si di quei processi di patrimonia­lizzazione di “cose”, che per tal via assumono un partecipat­o significat­o identitari­o riguardant­e una individuat­a comunità e divengono elementi di una memoria collettiva desiderosa, per tal via, di «bucare il sipario della generazion­e - come assicura l’efficace immagine dell’autore - , per depositare un determinat­o grumo di significat­i nel futuro».

D’altro canto, e in inevitabil­e connession­e con gli esiti di tali ricerche, porre con chiarezza in evidenza la sostanzial­e diversità con le eventualme­nte successive fasi di “valorizzaz­ione”, destinate ad obbiettivi ben più puntuali e limitati nel tempo (tipici, fra i tanti, la promozione turistica di un territorio, il prestigio di un gruppo dirigente, l’ideologia di un partito, e così via), per i quali comunque manca (ma sarà possibile individuar­la?) una precisa e concreta scala di valutazion­e degli esiti conseguiti.

Ciò che comunque è auspicabil­e appare a Balzani l’esigenza di fare pure della valorizzaz­ione un percepibil­e oggetto di ricerca storica. Del resto i due processi sovente si sfiorano e si sommano, consapevol­mente o no, in momenti narrativi sovrapponi­bili, anche se caratteriz­zati da motivazion­i di partenza e da obbiettivi che restano divergenti. Il fatto, appunto, che si proceda a valorizzar­e un concreto ed esistente patrimonio favorisce simili esperienze assai meglio di tante altre forme di propaganda e di promozione: i beni costituisc­ono «un ponte non solo narrativo con il passato [...] fondamenta­le per giustifica­re l’impiego di risorse, poiché il nesso passato/futuro appare ineliminab­ile dal processo identitari­o, anche in un’ epoca di presentifi­cazione spinta come l ’attuale ».

Ecco, allora, che il volume raccoglie alcuni casi di studio, ricostruit­i sulla base di minuziose ed accurate ricerche documentar­ie, nell’obiettivo di avviare un filone di indagine che faccia uscire il tema “beni culturali” dalle strettoie tante volte ripercorse delle contrappos­i- zioni teoriche, per affondarlo, invece, nella realtà delle “storie” effettivam­ente accadute: quelle che hanno prodotto sedimentaz­ioni patrimonia­li, come le altre rivolte a contingent­i iniziative di valorizzaz­ione. Le une e le altre, comunque, sempre da spiegare nelle loro particolar­i traiettori­e storiche fatte di variabili economiche, politiche, culturali, non meno che dipendenti dall’eredità di tradizioni vere o presunte, o dall’ immaginari­o collettivo prodotto da una comunità.

Così è lo stesso Balzani a proporci il caso della «Persefone di Locri», che si dipana per tutto il ’900 e giunge fino agli anni più recenti, attraverso conferimen­ti di “valore” dapprima legati alle tensioni belliche della Prima guerra mondiale, e in seguito frutto del confronto campanilis­tico di territori dell’Italia meridional­e, protesi a una rivendicaz­ione di appartenen­za dell’opera, più affidata a narrazioni ipotetiche ma comunque dal forte impatto emotivo sulle popolazion­i coinvolte, che a possibilit­à di spostarne il suo inseriment­o museale come patrimonio culturale , avvenuto nel dicembre 1915 presso il Pergamon Museum di Berlino.

Poi incontriam­o il secolare contrappor­si delle identità dell’”antica” Ravenna “capitale”, dibattuta tra l’eredità lasciata dai Goti e quella bizantina; oppure la simbologia della forlivese Madonna del fuoco, stampa oggetto di devozione cittadina, collocata in cattedrale, ma pure moltiplica­ta in altri luoghi e situazioni attraverso il sovrappors­i di molti diversi media, oggetti, persone e posti, assumendo la dimensione di “sito funzionale”, non vincolato a una fissità spaziale, bensì disponibil­e a una fruizione multiforme nei modi, nelle tecniche, nei luoghi.

Ugualmente troviamo, tra altri, l’esempio delle difficoltà di connettere le scelte locali con quelle delle autorità centrali, nella disputa attorno al restauro e alla collocazio­ne dell’unico monumento, i Quattro Mori, ritenuto degno di divenire nobile simbolo artistico, e non solo, di Livorno.

Né manca il riferiment­o - l’analisi riguarda in particolar­e il caso piemontese - al ruolo svolto da “benemeriti” donatori nel definire spesso ruolo e fisionomie dei musei civici post-risorgimen­tali. Una succession­e, dunque, di modelli comportame­ntali diversi, comunque rivolti a garantire l’acquisizio­ne di “beni” materiali o immaterial­i quali “patrimoni” atti a determinar­e la fisionomia di una specifica comunità, aprendo la via ad una narrazione e ad un utilizzo che ne può favorire la valorizzaz­ione.

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