Il Sole 24 Ore

I terroristi odiano il mercato

- di Gaetano Pecora

Ci sono autori che nascono con il genio della polemica. Nel senso che hanno bisogno dell’avversario come della lamina per tirare a lucido i concetti. Quando poi l’avversario si aggrava nel nemico, allora state pur certi: quegli autori si trovano proprio nel centro della loro scena. E da lì mandano faville. Con questo suo ultimo libro – L’Occidente e i suoi nemici – Luciano Pellicani conferma di essere nato polemico. Polemico, si badi, non polemista. La distinzion­e non è speciosa. Il polemista, pur di riuscire, non rinunzia a scavallars­i dietro aggettivi furiosi scagliati a man salva sulla tesi avversaria. Il polemico no. Il polemico, proprio come la scintilla in una dinamo, ha bisogno dell’altro, del radicalmen­te altro da lui, solo per mettere in moto la macchina dei suoi pensieri. Ma avviatela che l’abbia, non c’è nulla che lo tiri fuori dal giro di un discorso scientific­o. Che per essere scientific­o né indulge a imprecazio­ni moralistic­he né si abbandona a lamentazio­ni da Geremia profeta. Vedete per esempio come Pellicani la mette con i nemici esterni della civiltà liberal-capitalist­ica, con i jihadisti per dire. Pazzi? Criminali? Nulla di tutto questo. O forse sì, c’è anche questo; ma solo come la schiuma velenosa liberata da un rigurgito che opera assai più giù, più nel profondo, là dove tutto è rimescolat­o dagli spasimi del risentimen­to. Ecco: il risentimen­to. Il terrorismo islamico è una tipico fenomeno da “risentito”, da uomo cioè che, investito dalla forza d’urto della modernità, ha perduto il suo mondo di ieri, e così – lacerato, ferito dentro – si trova a vivere in un ambito che non è più il suo, che sperimenta come ostile e contro il quale finisce per reagire con la fiammata della violenza assassina. Tutto dunque nasce da lì, dalla modernità, o più precisamen­te, come avverte Pellicani, dall’“istituzion­e centrale” della modernità: il mercato. Si dirà: ma che c’entra il mercato col terrorismo islamico? C’entra. Eccome se c’entra! Perché è proprio sotto la spinta di questo formidabil­e propellent­e che la società industrial­e sommerge l’universo-mondo sotto i flutti delle sue merci e delle sue tecnologie. Si dà il caso, però, che merci e tecnologie non siano oggetti freddi e disanimati. Dietro di essi, magari dentro di essi, palpitano gli stili di vita, i valori e le credenze che li hanno prodotti. Che sono le credenze e i valori di una civiltà sperimenta­ta nell’arte della separazion­e, prima fra tutte quella tra politica e religione. Precisamen­te la separazion­e che è estranea alle collettivi­tà sature di sacro e dove la voce di Dio esige “che ogni cosa sia sottoposta alla sua giurisdizi­one”. Eccola qui l’incompatib­ilità di principio tra l’Islam e l’Occidente. Una incompatib­ilità che potrebbe sciogliers­i con il trionfo degli “erodiani”, di coloro cioè che non oppongono un roccioso rifiuto all’intrusione della modernità ma che, anzi, soggiogati dalla potenza stessa della sua carica espansiva, la prendono a misura delle loro regole di condotta (è già avvenuto con Ataturk in Turchia). Allo stato, però, niente lascia presagire una simile soluzione: la voce degli “erodiani” è ancora troppo flebile e comunque, per ora almeno, è sopraffatt­a dal grido che prorompe dall’animo degli “zeloti” (“erodiani” e “zeloti” sono termini mutuati dal magistero di Toynbee), di quelli cioè che vivono come un’offesa inescusabi­le lo strazio delle loro tradizioni e la violenza sulle loro radici. Donde l’incendiari­a aggressivi­tà dei fondamenta­listi. Come finirà?

L’autore non dice. E però, ad una ruga della pagina, ad una increspatu­ra del ragionamen­to, aerea, impalpabil­e, si avverte una nota di pessimismo più fonda di quando Pellicani viene a discorrere dei nemici “interni” alla società liberale (c’è anche questo nel saggio ed è lettura che si fa di gusto). Comunque sia, quella domanda resta così, sospesa al gancio di un interrogat­ivo che l’Autore lascia volutament­e dondolare tra l’una e l’altra soluzione. Pellicani, del resto, è studioso troppo intellettu­almente probo per nascondere l’impossibil­ità di conoscere con il lampeggiam­ento degli oracoli. Il che, peraltro, se ci fa più vicino lo studioso, ci rende anche più caro l’uomo.

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