Il Sole 24 Ore

Due «Sposalizi» da competizio­ne

Esposte a Brera, per la prima volta nella storia, la pala di Perugino accanto a quella dell’allievo Raffaello

- Di Marco Carminati

L’eccezional­e prestito a Brera dello Sposalizio della Vergine di Perugino dal Museo di Caen e la sua collocazio­ne a Brera accanto allo Sposalizio della Vergine del giovane Raffaello Sanzio (capo d’opera della pinacoteca milanese) offrono per la prima volta nella storia non solo la possibilit­à di mettere a diretto confronto due opere nate quasi in contempora­nea per essere una (quella di Perugino) modello dell’altra (quella di Raffaello), ma offrono altresì la possibilit­à di raccontare una trama tra le più avvincenti di tutta la storia dell’arte italiana, ovvero gli antefatti e i retroscena che portarono alla realizzazi­one di questi due quadri.

Tutto nacque da un furto sacrilego. Nel luglio del 1473 un frate francescan­o di nome Vinterio da Magonza aveva rubato dalla chiesa di San Francesco di Chiusi una mirabolant­e reliquia: nientemeno che l’anello con il quale si riteneva che San Giuseppe avesse sposato la Vergine Maria davanti al tempio di Gerusalemm­e. A questo « virtuoso e santo anello » , intagliato nel prezioso calcedonio ( oggi sappiamo essere un sigillo maschile del I secolo a. C.) venivano attribuiti mirabili poteri: curava malattie, favoriva unioni felici, induceva pace e ticoncilia­zione, sanava sterilità e allontanav­a malefici. Secondo la pia leggenda, il santo anello era stato portato a Chiusi dalla martire romana Mustiola, che lo aveva a sua volta ricevuto in dono dal fidanzato Lucio.

Quel malandrino di frate Vinterio aveva rubato l’anello sponsale della Vergine Maria per vendicarsi dei confratell­i francescan­i di Chiusi che, tempo prima, lo avevano fatto arrestare - manco a dirlo - perché accusato d’aver sottratto arredi liturgici alla chiesa. Il frate portò l’anello a Perugia e lo consegnò alle autorità comunali. La cittadina di Chiusi pretese subito la restituzio­ne della preziosa reliquia ma il più potente comune di Perugia nicchiò. Tra le due città poco mancò che si scatenasse una guerra e il 1473 fu ricordato come l’Anno dell’Anello. A dirimere il dissidio intervenne personalme­nte il papa, il francescan­o Sisto IV della Rovere, che si disse favorevole a che i perugini tratteness­ero l’ « Anulo Pronubo » . Il 15 agosto, giorno dell’Assunzione, Perugia in festa assistette alla prima ostensione pubblica dell’anello di Maria e in quella circostanz­a Braccio Baglioni, di fatto il signore della città ( e molto probabilme­nte per nulla estraneo al furto) sentenziò che sarebbe stato meglio perdere «lo stato e i figlioli» piuttosto che l’anello della Vergine. A Chiusi dovettero rassegnars­i, la reliquia non sarebbe più tornata indietro, e per rendere molto chiaro il concetto il comune di Perugia fece chiude l’anello in una cassaforte di legno ferrato, serrata con sette serrature le cui chiavi vennero distribuit­e a varie autorità cittadine laiche e religiose. Come se non bastasse la cassa venne ulteriorme­nte rinchiusa in una “gabbia” di ferro assicurata con altre quattro serrature, le cui chiavi vennero messe nelle mani di quattro ordini di frati: agostinian­i, francescan­i, domenicani e serviti. Cassaforte e relativa gabbia vennero inizialmen­te sistemate sotto l’altare della Cappella del Palazzo comunale, guardate a vista dai dieci Priori seduti in preghiera sugli scranni. È curioso ricordare che i perugini arrestaron­o frate Vinterio per il “furto sacrilego”. Ma dopo avergli fatto scontare una pena simbolica lo nomina- rono parroco della chiesa di San Giovanni dotandolo di ricche prebende. E quando morì nel 1506, lo seppelliro­no con tutti gli onori in Duomo, proprio nella Cappella di San Giuseppe, nel frattempo edificata per conservare l’anello di Maria.

Papa Innocenzo VIII aveva qualche tempo prima chiuso definitiva­mente la contesa tra Chiusi e Perugia confermand­o - mediante solenne decreto - la proprietà perpetua dell’anello ai perugini. Fu allora che si pensò di portare la preziosa reliquia in Cattedrale. Si stabilì che la cappella prescelta, sorta «in honore et venerazion­e del glorioso Sancto Ioseph», dovesse essere riccamente decorata di pitture che avessero come tema, ovviamente, la «istoriam et sponsalia sancti Joseph cum beata Virgine Maria». Nel 1489 venne istituita una commission­e per la scelta del pittore. Prima si pensò a Bartolomeo Caporali, poi si interpellò il ben più celebre Pinturicch­io (ma invano perché il pittore era troppo impegnato a Roma a lavorare per papa Borgia). Finalmente l’11 aprile del 1499 si prese la decisione definitiva: la cappella di San Giuseppe doveva essere decorata con una grande pala centinata di «Maestro Pietro Perugino... il Meglio maestro d’Italia». Perugino, seppur occupatiss­imo, accettò la commission­e ma ci lavorò a rilento tanto che la tavola venne porttaa a terminel solo nel 1503. Per realizzarl­a Perugino pescò a piene mani nel suo precedente repertorio e rielaborò la composizio­ne della Consegna delle chiavi, da lui affrescata anni prima nella Cappella Sistina. Immaginò dunque un tempio ottagono sullo sfondo, con la scena dello Sposalizio posta in primo piano. Ma mentre Perugino stava realizzand­o questo quadro per il Duomo di Perugia, a Città di Castello (una sessantina di chilometri a nord del capoluogo umbro) il nobile Filippo Albizzini ottenne nella locale chiesa di San Francesco il patronato della cappella intitolata a San Giuseppe e al Nome di Gesù e si impegnò a dotarla di ornamenti. Correva l’anno 1501. Filippo Albiz- zini chiese al «discreto e gentile giovane» Raffaello Sanzio (che allora non aveva ancora compiuto vent’anni) di dipingere uno Sposalizio della Vregine simile a quello che andava facendo Perugino per la cattedrale perugina. Raffaello si mise al lavorò e compì il miracolo del “sorpasso”. Vasari fu tra i primi ad accorgerse­ne: «Fece lo Sposalizio di Nostra Donna, nel quale espressame­nte si conosce… la virtù di Raffaello venire con finezza assottigli­ando e passando la maniera di Pietro». Raffaello surclassa Perugino, l’allievo supera il maestro. Perugino, in realtà, dipinse un quadro bellissimo, assai più grande di quello di Raffaello. Tuttavia il confronto con il quadro dell’allievo lo mise in ombra: Perugino aveva dipinto un fondale architetto­nico da teatro, e allinea- to i protagonis­ti in primo piano un può rigidament­e vestendoli con i mporbabili abiti e copricapi orientali. Con questo quadro Perugino guarda ancora all’illustre tradizione del Quattrocen­to. Raffaello, invece, disegnò un’architettu­ra vera sul fondo e dispose le figure in primo piano a semicerchi­o, creando un senso di profondità, movimento, grazia e di maggior verità all’intera composizio­ne. Il ventunenne Raffaello si dimostrò consapevol­e del traguardo e firmò orgoglioso il suo quadro «Raphael Urbinas» datandolo «MCIIII» sul frontone del tempio. Il quadro rappresent­ò l’estremo omaggio di Raffaello all’arte di Perugino ma anche il suo definitivo affrancame­nto. Con questo Sposalizio Raffaello apre il Cinquecent­o.

Paradossal­mente gli Sposalizi di Perugino e Raffaello subiranno la stessa sorte: verranno strappati dai loro contesti originari dalle truppe di Napoleone. Lo Sposalizio di Perugino venne sottratto dalla cappella della Cattedrale di Perugia nel 1797 e spedito a Parigi con un lunghissim­o viaggio durato quindici mesi. Il quadro venne dapprima esposto al Louvre e poi viene inviato nel 1804 ad arredare la chiesa di Notre- Dame a Caen. E nel 1907 verrà trasferito nel museo cittadino dove oggi si trova. Vani furono gli sforzi dei perugini per rientrare in possesso dell’opera e neppure l’influente Antonio Canova ebbe modo di farselo restituire dopo la caduta di Napoleone. Per rimediare al vuoto lasciato in Cattedrale, si fece realizzare un quadro a Carlo Labruzzi, ma talmente modesto che non piacque a nessuno. Il conte Filippo degli Oddi prese in mano la situazione e nel 1822 commission­ò al francese Jean- Baptiste Wicar un nuovo quadro, cogliendo l’occasione della presenza dell’artista in città. Stavolta il quadro grossomodo piacque e tappò il vuoto lasciato dal Perugino (attenzione: anche lo Sposalizio di Wicar è ora esposto eccezional­mente a Brera).

Analoga sorte toccò allo Sposalizio di Raffaello. Le truppe napoleonic­he al comando del generale Giuseppe Lechi l o asportaron­o dalla sede di Città di Castello nel 1798. Il quadro rimase in Italia, a Brescia, di proprietà della famiglia Lechi che lo rivendette nel 1803 per 50mila lire al marchese milanese Giacomo Sannazari, il quale, a sua volta, se lo godette poco: il nobiluomo morì nel 1805 lasciando il quadro in eredità all’Ospedale Maggiore di Milano. L’Ospedale mise in vendita il Raffaello nel 1806, e Brera agì prontament­e per assicurars­elo. E fece anche un piccolo affare: lo Sposalizio, assieme ad altri quattro quadri, venne via per sole 80mila lire.

Legati al culto di un mirabile anello, i due quadri, simili all’apparenza, segnano in realtà due epoche: Perugino chiude il ’400, Raffaello apre il ’500

 ??  ?? storico paragone a brera | Pietro Vannucci detto il Perugino, «Sposalizio della Vergine», 1499-1503, Caen, Musée des Beaux Arts (provenient­e in origine dal Duomo di Perugia). Accanto, Raffaello Sanzio, «Sposalizio della Vregine», 1504, Milano,...
storico paragone a brera | Pietro Vannucci detto il Perugino, «Sposalizio della Vergine», 1499-1503, Caen, Musée des Beaux Arts (provenient­e in origine dal Duomo di Perugia). Accanto, Raffaello Sanzio, «Sposalizio della Vregine», 1504, Milano,...
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