Nuvole nere s u l l ’A r t Bas e l d’Oriente
La IV edizione della fiera si è aperta nel timore di un rallentamento del mercato dopo il boom: nel 2011 i l picco f u d i 1 9 m i l i a rd i di dollari di opere d’arte
La quarta edizione di Art Basel Hong Kong si è aperta sotto le nuvole nere. Quelle della primavera umidissima della città, su cui ha piovuto per l’intera settimana dell’arte, ma soprattutto quelle dei timori di un forte rallentamento del mercato. Dopo anni di boom - nel 2011 la Cina ha superato i 19 miliardi di dollari in scambi di opere d’arte, quasi il 30% del mercato globale, giocandosi il primo posto con gli Stati Uniti - da un paio d’anni le cifre hanno cominciato a scendere. Oggi la Cina è il terzo compratore d’arte al mondo, dopo Stati Uniti e Regno Unito, ma a giudicare dai commenti comparsi sui media locali si conta molto, forse troppo, sui risultati della fiera di Hong Kong per un rilancio del settore. Un mercato dell’arte sta- bile infatti non è solo legato ai movimenti delle borse o all’esplosione delle mode, ma anche ad una cultura del collezionismo, che in Cina si sta ancora formando. Gli art dealer lo sanno ed è per questo che da quando Art Basel è sbarcata in Asia l’intero panorama artistico di Hong Kong ha cambiato marcia, arricchendosi di spazi espositivi, collettivi artistici e grandi gallerie internazionali che hanno fatto da calamita per nuove generazioni di compratori da tutta la zona Asia- Pacifico.
Da martedì sono arrivati nell’Hong Kong Convention Center 239 espositori da 35 paesi ( tra cui parecchi italiani), e la città intera si è animata di mostre, conferenze, fiere collaterali e vernissage. L’apertura più attesa della settimana è stata proprio quella di una galleria italiana, Massimo De Carlo di Milano, che è andata a aggiungersi ai grandi dealer già presenti nel Pedder Building (Gagosian, Ben Brown, Pearl Lam - qui le gallerie sono tutte impilate dentro i grattacieli di Central, la zona del lusso) e ha inaugurato con una personale di pittura di Yan Pei Ming, celebratissimo e compratissimo.
La figurazione è stata protagonista anche dentro la fiera, dove galleristi come David Zwirner e Pace hanno messo insieme stand di sole tele: nei primi due giorni riservati ai collezionisti vip si sono venduti lavori di Michael Borremans ( da 250mila dollari a oltre un milione e mezzo), Neo Rauch, Luc Tuymans, Marlene Dumas, Yoshitomo Nara, Adrian Ghenie, Chuck Close, Zhang Xiaogang, Fernando Botero, Giorgio Morandi ( nonostante la sezione moderna della fiera abbia decisamente margini di miglioramento). Tra i non-figurativi sono andati molto bene Su Xiaobai, con le grandi lacche che costano circa 200mila dollari, e John Armleder, con una grandissima installazione lunga otto metri - bilanciata però da una parete tutta per i paesaggi di Hans- Peter Feldmann. « I dipinti sono sempre la prima cosa che vende » dice la direttrice della fiera Adeline Ooi, che però fa notare come il collezionismo asiatico sia una realtà ampia e in rapida evoluzione: « L’Asia è più grande della sola Cina! Quest’anno per esempio abbiamo una forte rappresentanza australiana, molti collezionisti dal Giappone, da Taiwan, Singapore, Indonesia, una grande presenza thailandese ma anche filippina e indiana » , dice.
Il mercato asiatico ama sempre molto i lavori di e su carta, anche di grandi dimensioni: da STPI di Singapore si sono venduti benissimo i ricami su carta del coreano Do Ho Suh, da Ink Studio di Pechino è stato apprezzatissima la mostra personale del ci- nese Li Huasheng, che dopo il grande successo negli anni Ottanta ha avuto un’illuminazione spirituale e si è ritirato a vivere da eremita nella zona dell’Himalaya, e ricompare ora con una serie di opere “zen” che includono una vera e propria “meditation room” alle spalle dello stand. Dalla milanese Francesca Minini è stato molto ammirato ( anche dall’onnipresente Leonardo Di Caprio) il lavoro di Francesco Simeti in collaborazione con Matthias Bitzer, un grande wallpaper che sfuma verso il bianco, accompagnato da una serie di disegni incorniciati.
I galleristi che progettano uno stand per Art Basel Hong Kong hanno infatti ben presenti gusti e disgusti dei collezionisti locali, ed è questo il motivo per cui non si sono visti nudi ( tranne quelli, autobiografici ma molto poetici, di Tracey Emin, ultrapresente sia in fiera che fuori con due mostre gemelle da Lehmann Maupin e White Cube), e una galleria come Hauser & Wirth ha messo insieme uno stand a tema “Ragno”, considerato un portafortuna da queste parti, con lavori di Louise Bourgeois, Alexander Calder, Philip Guston e David Smith. La (ancora forte) parte british della Art Week si è invece celebrata come ogni anno al Peninsula, lo storico hotel di Kowloon, con un’installazione di Conrad Shawcross, in partnership con la Royal Academy di Londra.
Un omaggio a questo incrocio fra collezionismo internazionale e identità asiatica è stato fatto con la proiezione di un documentario dedicato alla vita di Uli Sigg, il collezionista svizzero che dagli anni Ottanta ha messo insieme la più grande collezione di arte della regione, lanciando artisti come Ai Weiwei. L’atteso museo M+ a West Kowloon, a cui è stata in parte donata e che dovrebbe ospitarla, è invece ancora un cantiere fangoso, e i tempi di realizzazione non sono chiari (cosa che risulta vagamente confortante per noi italiani, abituati a pensare che in Cina anche i musei spuntino da un giorno all’altro senza troppe grane).