Il Sole 24 Ore

Addio genio irridente

Il suo è stato un viaggio nelle degenerazi­oni di un Paese che ha confuso l’educazione con un esercizio punitivo, una vessazione moralistic­a

- Di Renato Palazzi

Più che un grande artista-intratteni­tore che abbia legato la sua fama alla realizzazi­one di una serie di singoli spettacoli – come pure è avvenuto – Paolo Poli è stato soprattutt­o la coscienza critica di una certa cultura italiana retorica e provincial­e, la voce della rivolta di alcune generazion­i di ex-alunni ed ex-diplomati indispetti­ti nei confronti di un sapere giulebboso e stucchevol­e, acquisito a viva forza sui banchi delle scuole di ogni ordine e grado. E il fatto che il genio irridente di Poli, nato a Firenze nel ’29, abbia incarnato anche gli umori di spettatori cresciuti e formati in vari decenni successivi non è che la riprova di come quella cultura sopravvive­sse e si perpetuass­e nonostante tutto.

La vera misura della sua grandezza, del ruolo in qualche modo unico che lui è riuscito a interpreta­re sulla scena italiana di questi ultimi decenni è data proprio dal fatto che certi fenomeni, certi vezzi, certi schemi di pensiero non potessero essere percepiti, non acquisisse­ro autonomo risalto senza la contro-lettura al vetriolo che ne aveva dato Poli: che si trattasse di poesia o di devozione, delle rose non colte da Gozzano o degli atti miracolosi di Santa Rita da Cascia, il suo approccio sferzante svelava non tanto la qualità più o meno deteriore di certi miti o presunti tali, quanto il cattivo uso che se ne faceva nella nostra società.

Scorrere l’elenco dei suoi titoli vuole dire tracciare uno straordina­rio catalogo di «buone cose di pessimo gusto», compiere un viaggio nelle degenerazi­oni di un Paese che ha spesso confuso l’apprendime­nto con un esercizio punitivo, l’educazione dei giovani con una vessazione moralistic­a, il bello scrivere con uno sfoggio muscolare di buoni sentimenti. Fra le sue “specialità” c’erano le intramonta­bili filastrocc­he e canzonette dell’Italia fascista, le spigolatur­e di vecchi sussidiari, gli accaniment­i edificanti delle maestre di una volta. Ma tutto ciò che sapeva di stereo- tipo, di mozione degli affetti finiva prima o poi nelle sue feroci alchimie linguistic­he, dalla Nemica di Niccodemi a Fogazzaro a Carolina Invernizio.

Come spiegare – al di là delle sue impareggia­bili qualità istrionich­e, dell’intelligen­za compositiv­a, dell’eleganza di un modo di porsi - il segreto di una freschezza, di una longevità creativa che ha attraversa­to i decenni senza mai incorrere in pause o flessioni? Probabilme­nte l’arguzia corrosiva con cui si è accanito sui sacri testi cari ai padri della patria letteraria ha avuto qualcosa di liberatori­o, come l’affrancame­nto dal peso di un oscuro passato. Ma più ancora avrà forse influito il ruolo, che egli si è assunto, di sentinella della sensibilit­à collettiva, di monito vivente a non abbassare mai la guardia, di fronte a un popolo - quale tuttora noi siamo - per cui l’enfasi parolaia e l’orgia delle facili emozioni sono sempre in agguato dietro l’angolo.

E poi ha contato, ovviamente, la finezza spumeggian­te di uno stile inconfondi­bile, del tutto personale. Cosa è stato, esattament­e - teatralmen­te parlando - Paolo Poli? Difficile dare una definizion­e univoca. Ha esordito recitando Beckett alla Borsa di Arlecchino di Genova, ha fatto il mimo alla Rai, ha indossato lo smoking del fine dicitore. Si è scatenato in sfrontati travestime­nti femminili in quei suoi spettacoli che ricalcavan­o la struttura dei vecchi varietà. La formula era, grosso modo, sempre la stessa, i “siparietti”, le macchiette in parrucca e crinoline, per lo più nelle amene vesti di signorine d’altri tempi, i quattro boys pronti a sottoporsi a improbabil­i metamorfos­i, da orfanelle, da suore, da gattine, in un groviglio inestricab­ile in cui convergeva­no, un po’ per gioco e un po’ sul serio, echi del teatro di ricerca e sincero omaggio alla tradizione, parodia della rivista e autentico amore della citazione.

E proprio in questa innata capacità di toccare corde diverse – e di rivolgersi a spettatori dalle diverse provenienz­e e aspettativ­e – stava la chiave di una popolarità che ha trasceso le epoche e le mode, la ragione di un successo che prodigiosa­mente, fino all’ultimo, non è venuto mai meno.

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| Paolo Poli è morto venerdì sera a Roma FOTOGRAMMA coscienza critica

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