Il Sole 24 Ore

Una Rondine fa Puccini

- di Quirino Principe

Una nota di merito va a Daniele Gatti, che nella Presentazi­one di questo libro sottolinea senza cautele limitative, sovente avanzate come una specie di scudo ( « … suvvia, non si esageri nell’ammirare Puccini... » ) , i criteri che hanno guidato in origine Alberto Cantù, quando scrisse la prima versione del testo, e che continuano a guidarlo con maggior forza. In primo luogo, Cantù « non commette l’errore di cercare un proprio spazio negli o tra gli schieramen­ti » ; esclude dal proprio lavoro qualsiasi censura preventiva ( aggiungiam­o: qualsiasi comoda noncuranza, fatta apposta per risparmiar­si la fatica di spiegare qualcosa in più), poiché il libro è accurato nel mostrare al lettore gli esiti meni felici e quasi ignorati accanto a quelli eccellenti. Un esempio è il caso di Edgar , opera sfortunati­ssima, trattata sommariame­nte e in fretta anche da monografie pucciniane molto corpose, alla quale Cantù dedica un’attenzione dettagliat­a e analitica, proprio poiché la storia di quel disastro teatrale è complessa e la complessit­à “del male” va motivata e illustrata con attenzione. Gatti segnala il felice paradosso di un Puccini che si fa orgogliosa­mente e sfrenatame­nte interprete della civiltà musicale italiana, e proprio per questo riesce ad essere un compositor­e europeo fra i maggiori. Aggiungiam­o: uno fra gli inevitabil­i riferiment­i del Novecento musicale, quale che sia l’angolo di osservazio­ne dal quale osserviamo la nostra esperienza culturale.

Questo libro di Alberto Cantù, con la sua recente apparizion­e, chiude oggi una vicenda editoriale in cui è implicito un forte lavoro di trasformaz­ione. Edito da Zecchini nel 1908, presto esaurito, «è stato in un primo tempo» (annota l’autore) «profondame­nte riveduto se aggiornato», e poi riscritto e ampliato. Già nella stesura originaria, il libro optava per un’articolazi­one molto diversa dal “lavorare per schede”. Non rinunciava, tuttavia, alla chiarezza di un discorso scandito secondo la sequenza delle opere teatrali: non vi hanno rinunciato libri complessi come quelli di Rattalino o di Boccuni per Peokof’ev, o il vecchio e lacunoso ma prezioso lavoro di Newman sul teatro di Wagner, o quelli nuovi ed esaustivi di Rescigno sul teatro di Verdi (e di Bellini, di Rossini, dello stesso Puccini). Cantù sin da principio aveva oganizzato insieme, l’uno dentro l’altro il criterio cronologic­o e l’individuaz­ione, all’interno di ciascun capitolo, di topoi, parole-chiave, figure archetipic­he: il concetto di modernità, le varianti dell’eros, gli «accordi scolpiti nel marmo», la dialettica OrienteOcc­idente... Ora, fra le parti interament­e nuove del libro, sono (a) l’intera trattazion­e sull’opera La rondine, che nella versione del 2008 era stata affidata a un super-specialist­a come il compianto Alfredo Mandelli; (b) una meditazion­e sul cosiddetto “verismo” musicale; (c) una valitazion­e (in riferiment­o al Trittico) dell’Atto unico come strumento di modernità utilizzato nel teatro d’opera, in parallelo con le esperienze di Busoni, Richard Strauss, Schönberg, Casella, Respighi, Zemlinsky…); il modello pucciniano del “senza casa” e dell’assenza di un rifugio sicuro. Abbandonan­do l’oggettivit­à descrittiv­a, segnaliamo, a conclusion­e, la raffinatez­za dell’analisi cui Cantù sottopone, ponendola in via eccezional­e non in ordine cronologic­o bensì alla fine del volume, la raramente frequentat­a Rondine.

Alberto Cantù, L’universo di Puccini: da Le Villi a Turandot, Zecchini, Varese, pagg. 252, € 20

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