I francicciologi Ficarra&Picone
Rullo di tamburi. Un colpo di piatti. Il silenzio scricchiola nel rimbombo affrettato della marcia dei bersaglieri che ancora stagna in scena. I due attori – meglio, i due miracoli della posteggia, l’arte antica dei guitti da strada – sono in posizione.
Ecco: il corto è a terra. Culetto a pizzo, Franco – piegato ad angolo acuto, con le braccia in avanti – fa da basculante. E il cappello – di volta in volta, appoggiato o tolto – segna la differenza sul peso. Calcato in testa, infatti, gli fa alzare i piedi. Sfilatogli dai capelli, invece – giusto un nonnulla – fa sollevare il busto. E non un copricapo da niente: una tuba!
C’è anche una versione in paglietta e giacca da pomeriggio. La fatica è tutta di Ciccio, ovvero Ciccio Ingrassia, il maestro concertatore di una scena dove con Franco Franchi, si realizza un’opera che neppure Magritte avrebbe saputo architettare.
Ciccio canta Core ’ngrato. Mano al petto, sguardo ispirato, avanza di slancio sentimentale. Franco – lesto d’inventiva – scorge una manovella invisibile all’altezza del ginocchio del maestro. La gira e con quella fa alzare e scendere, a modo di un cric – dal basso in alto – l’elegantissimo Ciccio. È la scienza per eccellenza la francoecicciologia. È severa dottrina di quel depensamento a lungo praticato – a forza di Jules Laforgue e Martin Heidegger – da Carmelo Bene solo che in questo caso non c’è phonè, bensì il dasein guitto. Intagliatore di tomaie era Ciccio, poco meno che un pastore dell’Essere. Un agitatore della cosalità, invece, Franco. Al quartiere Capo, a Palermo, la piazza rinasce grazie a un monumento: l’Altalena di Franco e Ciccio. Arte di popolo iperrealista. Uno a terra, l’altro in piedi. Alla raccolta fondi, ovviamente, i due eredi della francoecicciologia: Ficarra & Picone. Rullo di tamburi, applausi.