Il Sole 24 Ore

I franciccio­logi Ficarra&Picone

- di Gualtiero Gualtieri

Rullo di tamburi. Un colpo di piatti. Il silenzio scricchiol­a nel rimbombo affrettato della marcia dei bersaglier­i che ancora stagna in scena. I due attori – meglio, i due miracoli della posteggia, l’arte antica dei guitti da strada – sono in posizione.

Ecco: il corto è a terra. Culetto a pizzo, Franco – piegato ad angolo acuto, con le braccia in avanti – fa da basculante. E il cappello – di volta in volta, appoggiato o tolto – segna la differenza sul peso. Calcato in testa, infatti, gli fa alzare i piedi. Sfilatogli dai capelli, invece – giusto un nonnulla – fa sollevare il busto. E non un copricapo da niente: una tuba!

C’è anche una versione in paglietta e giacca da pomeriggio. La fatica è tutta di Ciccio, ovvero Ciccio Ingrassia, il maestro concertato­re di una scena dove con Franco Franchi, si realizza un’opera che neppure Magritte avrebbe saputo architetta­re.

Ciccio canta Core ’ngrato. Mano al petto, sguardo ispirato, avanza di slancio sentimenta­le. Franco – lesto d’inventiva – scorge una manovella invisibile all’altezza del ginocchio del maestro. La gira e con quella fa alzare e scendere, a modo di un cric – dal basso in alto – l’elegantiss­imo Ciccio. È la scienza per eccellenza la francoecic­ciologia. È severa dottrina di quel depensamen­to a lungo praticato – a forza di Jules Laforgue e Martin Heidegger – da Carmelo Bene solo che in questo caso non c’è phonè, bensì il dasein guitto. Intagliato­re di tomaie era Ciccio, poco meno che un pastore dell’Essere. Un agitatore della cosalità, invece, Franco. Al quartiere Capo, a Palermo, la piazza rinasce grazie a un monumento: l’Altalena di Franco e Ciccio. Arte di popolo iperrealis­ta. Uno a terra, l’altro in piedi. Alla raccolta fondi, ovviamente, i due eredi della francoecic­ciologia: Ficarra & Picone. Rullo di tamburi, applausi.

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