Salviamo la Terra via satellite
I servizi di monitoraggio per immagini possono diventare strumenti di intelligence condivisa a difesa dell’ambiente
Nelle foreste tropicali di tutto il mondo vengono abbattuti ogni anno milioni di alberi per far spazio alle coltivazioni di foraggio destinate ai bovini da macello e alle distese di palma da olio. L’anno scorso in Amazzonia è stato completamente rasato un territorio equivalente a sette volte la superficie della città di New York. Il ritmo della distruzione, misurato attraverso i dati satellitari, risulta in aumento del 16% sui 12 mesi precedenti. Metà delle specie vegetali dell’Amazzonia sono a rischio di estinzione. E nel Sud Est asiatico la situazione non è migliore. Nello scorso decennio, almeno 4 milioni di ettari di foresta sono stati abbattuti in Malesia e Indonesia a favore delle coltivazioni di palma da olio. Tanto che la deforestazione ormai causa il 15% delle emissioni a effetto serra globali. Ma quando un albero viene abbattuto nel folto del bosco, chi lo vede se non c’è nessuno in giro? Oggi c’è sempre qualcuno in giro. I servizi di monitoraggio satellitare si stanno rapidamente trasformando in strumenti di intelligence a difesa dell’ambiente, che siano foreste minacciate, stock ittici a rischio o zone colpite dall’estrazione selvaggia di idrocarburi. La crescente potenza nella trasmissione delle immagini, unita all’aumento delle capacità di storage e di elaborazione dati, ha aperto nuove possibilità nell’analisi dettagliata del territorio, che consentono di individuare con sempre maggiore facilità le attività illegali.
Fa scuola il caso di United Cacao, uno dei giganti del settore, recentamente ac- cusato dalla Environmental Investigation Agency di aver disboscato segretamente 7mila ettari di foresta tropicale nell’Amazzonia peruviana per produrre il proprio cacao, che l’azienda definisce invece “sostenibile”. La società si è difesa assicurando che quella zona era già stata disboscata in precedenza, ma le immagini satellitari dimostrano il contrario. Questo ed altri casi analoghi accadono da quando è nata Global Forest Watch, una piattaforma lanciata dal World Resources Institute, insieme a una vasta coalizione di partner pubblici e privati, fra cui Google, che ha curato lo sviluppo del software a partire da Google Earth, insieme alla società di software geografici Esri, al dipartimento di Scienze geografiche dell’università del Maryland, alla brasiliana Imazon e all’Un Environment Programme.
«Prima di Global Forest Watch, sapevamo molto poco di quello che stava accadendo alle foreste», spiega Nigel Sizer, il presidente di Forest Alliance, che ha ideato l a piattaforma quando era responsabilie del programma sulle foreste al World Resources Insitute. «Al momento in cui si pubblicava un rapporto, i dati di base sulla copertura delle foreste e sulle concessioni erano già diventati vecchi». Ma nel frattempo diverse cose sono cambiate. L’abbassamento dei costi di archiviazione dei dati, il cloud computing, la diffusione della connettività in luoghi sempre più remoti e l’accesso alle immagini satellitari del governo americano – tutti elementi impensabili appena un decennio fa - hanno reso possibile la nascita di Global Forest Watch, uno strumento subito adottato da multinazionali come Nestlé o Cargill, che hanno come obiettivo «deforestazione zero», ma non sapevano dove guardare, per essere sicuri di centrare il target. Ora possono sorvegliare in tempo reale i territori su cui operano i loro fornitori e scoprire rapidamente le eventuali trasgressioni.
Con lo stesso spirito, John Amos ha lanciato SkyTruth, un servizio di monitoraggio satellitare che vuole mettere il sale sulla coda dei crimini ambientali perpetrati in giro per il mondo. «Se puoi vederlo, puoi cambiarlo», è il motto di SkyTruth, salito alla ribalta delle cronache per la prima volta nel 2010, quando scoprì che la piattaforma petrolifera Deepwater Horizon di Bp non stava sversando nel Golfo del Messico 1.000 barili di petrolio al giorno, ma 40mila, rivelando la vera portata del più grande disastro ambientale della storia americana. Da allora, SkyTruth è cresciuta di dieci volte e ha diversificato i suoi interessi, una volta focalizzati solo sul monitoraggio delle esplorazioni petrolifere. Amos, un geologo che ha lavorato per un decennio nell’industria estrattiva, sa dove guardare per scoprire i segreti dei pozzi e nell’ultimo decennio si è dedicato soprattutto a una mappatura il più possibile accurata delle attività di estrazione di idrocarburi non convenzionali i n North Dakota e in Texas, raccogliendo un vasto seguito nel pubblico delle aree colpite, che contribuisce all’attività di analisi dei dati, per individuare con un’approssimazione di pochi metri le trivellazioni per la fratturazione idraulica. Nel progetto FrackFinder, Amos ha mobilitato duecento cittadini per individuare, attraverso una serie di elementi superficiali, la posizione esatta di oltre duemila pozzi, un dato che le compagnie si rifiutano di rivelare, ma che diventa molto importante per condurre, ad esempio, degli studi sulla salute delle popolazioni coinvolte.
Le attività di SkyTruth, nel frattempo, si estendono ben al di là delle ricerche minerarie. Con il supporto di Google e di Oceana, Amos ha costruito il Global Fishing Watch, una piattaforma per monitorare lo sfruttamento degli stock ittici, che dagli anni Settanta ad oggi sono stati dimezzati dalla pesca dissennata. Grazie al suo sistema di geolocalizzazione dei pescherecci attraverso i loro trasmettitori satellitari, SkyTruth ha aiutato ad esempio il governo di Palau a individuare un peschereccio taiwanese che veniva regolarmente a pescare di frodo tonni e pesci spada nelle sue acque territoriali, danneggiando gli stock ittici dei locali.
Le pratiche di sfruttamento eccessivo degli stock ittici non sono solo un danno per l’ambiente, ma si stanno rivelando anche una catastrofe sociale. Come per i cambiamenti climatici, anche per l’esaurimento degli stock ittici le più colpite sono le isole del Pacifico, dove gli abitanti traggono il 90% del loro apporto di proteine dal pesce pescato in loco. Milioni di isolani si basano sul pesce anche come unica fonte di reddito e sono particolarmente colpiti dalle barche che vanno a pescare di frodo nelle loro acque dai Paesi vicini. Amos spera di coglierle con le mani nel sacco.
Quando Amos iniziò a occuparsi di satelliti, una singola immagine Landsat costava 4.400 dollari, mentre ora il governo americano ha messo a disposizione gratis oltre 4,7 milioni di immagini, in crescita quotidiana. Non c’è che l’imbarazzo della scelta.