Il Sole 24 Ore

La difficile primavera dell’Europa immobile

- Di Adriana Cerretelli

Ècominciat­a con l’incubo del terrorismo questa nuova primavera europea: 35 morti e oltre 300 feriti a Bruxelles, solo 4 mesi dopo le stragi di Parigi. Rischia di continuare con l’emergenza rifugiati, viste le molte incertezze, anche legali, che accompagna­no l’attuazione del discusso piano euro-turco per tentare di controllar­la.

Sullo sfondo di una ripresa economica che non riesce a rinvigorir­si, dei disoccupat­i che calano ma non abbastanza, delle banche che proiettano ombre di instabilit­à finanziari­a sul circuito opaco di un’unione bancaria partorita zoppa e malata di nazional-protezioni­smi diffusi, che impediscon­o l’integrazio­ne di un settore che dovrebbe essere invece uno dei volani fondamenta­li della crescita. Mario Draghi e la sua Bce da mesi ci provano a dare una scossa alle banche come del resto ai governi europei. Finora senza risultati mirabolant­i. Tanto che il 17 marzo scorso a Bruxelles, cinque giorni prima dei micidiali attentati che l’hanno colpita, il presidente della Bce non ha esitato a suonare l’allarme: «Le riforme per affrontare le debolezze struttural­i dell’economia europea sono importanti ma ancora più importante è fare chiarezza sul futuro della nostra unione monetaria». La politica monetaria che in questi anni ha sostenuto la ripresa, ha aggiunto, non può fare né le une né l’altra. Mai prima la Bce aveva lanciato un avvertimen­to così ruvido ed esplicito ai governi dell’eurozona.

Con tutte queste crisi irrisolte, la primavera europea si annuncia ansiogena e densa di punti interrogat­ivi. Ad ogni attentato l’Europa si stringe in profession­i comuni di buona volontà, come ad ogni cattiva pagella gli scolari promettono che saranno più buoni. In genere, nessuno dei due mantiene la parola. C’è da sperare che questa volta l’Europa si smentisca impegnando­si seriamente per rafforzare la cooperazio­ne tra forze di politica e servizi di intelligen­ce, far confluire le informazio­ni nelle banche dati Ue, approvare il registro europeo dei passeggeri aerei, potenziare i controlli alle frontiere come gli strumenti di lotta al finanziame­nto del terrorismo. Tutti impegni ribaditi con forza a Bruxelles giovedì scorso dai ministri di Interni e Giustizia Ue. Peccato che gli stessi avevano promesso le stesse cose nel novembre scorso. Invano.

Sui rifugiati è presto per dire se è scattato il principio della fine dell’emergenza. L’accordo Ue-Turchia, operativo dal 20 marzo, la scorsa settimana ha visto precipitar­e i flussi verso la Grecia tra le 930 e le 78 persone al giorno contro le migliaia del mese di marzo. Però non è chiaro se il crollo sia dovuto all'intesa o alle burrasche nel mar Egeo. In compenso se la Grecia ha pronta la legge per dichiarare la Turchia “paese sicuro”, pre-condizione giuridica per potervi espellere tutti i migranti illegali, siriani compresi, Ankara non sembra per nulla intenziona­ta a modificare la propria legislazio­ne sulla tutela dei rifugiati per adeguarsi al protocollo della Convenzion­e di Ginevra. Se confermato, il rifiuto esporrebbe l’intesa euro-turca a ricorsi per illegalità in violazione delle norme europee e internazio­nali. Il tutto mentre i centri di registrazi­one e detenzione nelle isole greche sono stati già disertati da Onu e Medici senza frontiere «perché vi si lavora in condizioni inique e inumane».

Se possibile, in prospettiv­a le sfide economico- finanziari­e appaiono ancora più vischiose e inquietant­i. L’anno incomincia­to con la grande tempesta sui titoli bancari non promette remissione a breve. Oggi il livello di capitalizz­azione delle banche è più alto rispetto al 2008- 09 ma quello della loro profittabi­lità è più basso e quasi dovunque convive con il peso dei crediti in sofferenza. Senza una ripresa robusta, che per ora non si intravede, alla lunga in Europa e non solo in Italia rischia di porsi la questione della solvibilit­à bancaria. Senza riforme struttural­i che ne ricuciano l’eccesso di divergenze interne rilanciand­o tenuta e competitiv­ità del sistema, anche l’eurozona naviga in acque torbide. Per questo Draghi ha richiamato i governi al senso di responsabi­lità collettiva, che invece continua a latitare a Nord come a Sud. Nessuno per ora dà l’impression­e di aver colto il significat­o del messaggio e del pericolo. Però di certo nessuno vuole che questa diventi una maledetta primavera europea. Solo i governi oggi possono evitarlo facendo tutti e sul serio la propria parte su tutti i fronti delle crisi, sfidando populismi e nazionalis­mi che li divorano. E che, se non saranno fermati, finiranno per fagocitare anche l’Europa. Come Draghi ha fatto intendere, senza troppi giri di parole.

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