Automatismi distruttivi
Guardando i motivi per cui le Borse crollavano nel primo mese e mezzo del 2016, verrebbe da chiedersi cosa sia oggi cambiato per giustificare il rimbalzo. Oppure, girando il discorso, cosa ci fosse di tanto catastrofico allora per farle crollare così rovinosamente.
Imercati finanziari riescono infatti a terrorizzarsi e a entusiasmarsi a giorni o mesi alterni, pur in presenza di condizioni economiche sostanzialmente analoghe. Sono le “lenti” degli investitori (umani o algoritmici che siano) a guardare la stessa realtà in maniera diversa: per questo i motivi principali che fanno crollare e riprendere i mercati finanziari non sono probabilmente da cercare solo in Cina, nelle banche, nei Paesi emergenti o nel petrolio, ma all’interno dei mercati stessi. Nelle loro dinamiche. Nei loro automatismi distruttivi. Per capirlo, basta guardare cosa a inizio anno faceva terrore e cosa oggi genera entusiasmo: la realtà non era così nera allora, non è così rosea oggi.
I motivi del crollo
A gennaio facevano per esempio paura le banche italiane, a causa dei troppi prestiti inesigibili che hanno accumulato nei bilanci. Sovrapponendo questo problema all’entrata in vigore della normativa del «bail-in» e al decreto Salva-banche di fine dicembre (che aveva imposto a quattro istituti italiani pesanti svalutazioni proprio sui crediti deteriorati), gli investitori erano entrati nel panico: se a tutte le banche italiane venissero imposte dalle Autorità svalutazioni altrettanto dure su tutti i loro crediti in sofferenza - temevano - molti istituti andrebbero gambe all’aria. E il bail-in diventerebbe realtà. Questo, a gennaio, era uno dei motivi del panico in Borsa.
Ma già allora si capiva quanto fosse in gran parte ingiustificato o pretestuoso. Non solo perché le banche sono già passate dai raggi X della Bce e sono sopravvissute, ma soprattutto perché è impensabile che un’Autorità di vigilanza imponga all’improvviso svalutazioni così pesanti da mandare deliberatamente in default uno o più istituti. Anche quando Mario Draghi, presidente Bce, ha chiaramente detto che non avrebbe imposto ulteriori aumenti di capitale alle banche, le Borse hanno continuato a crollare. Segno che a deprimerle erano altri motivi: i crediti in sofferenza erano solo un pretesto.
Come erano probabilmente poco più che pretesti gli altri motivi che generavano panico tra gennaio e febbraio: la Cina, il petrolio o i Paesi emergenti. Che la Cina avesse problemi era noto anche nel 2015, quando i mercati non crollavano affatto. Che i Paesi emergenti fossero iper-indebitati erano risaputo anche prima. Solo il prezzo del petrolio nel 2016 è sceso su livelli mai visti nel 2015, ma il trend ribassista era ben noto sin dall’anno precedente. Dunque, nulla di veramente eclatante è accaduto nel 2016 per giustificare un totale cambiamento di scenario sulle Borse. Una correzione ci stava tutta, ma la fine del mondo no.
I motivi del rimbalzo
Altrettanto eccessivo è l’entusiasmo arrivato in Borsa dopo l’11 febbraio. È vero che di motivi che giustificherebbero il rimbalzo dei listini ce ne sarebbero: la Bce ha varato misure senza precedenti (10 marzo), la Fed Usa ha ufficialmente abbandonato l’idea di effettuare 4 rialzi dei tassi nel 2016 (16 marzo), il petrolio è rimbalzato (dal minimo di 26 dollari agli attuali 40 circa), in Italia è stato varato un pacchetto di misure per aiutare le banche a cedere i crediti deteriorati.
Ma tutte queste ragioni non sono tali da giustificare un totale cambio di percezione della realtà da parte dei mercati: tutti sanno che gli stimoli monetari stanno progressivamente perdendo di efficacia, le previsioni sul petrolio indicano ancora prezzi bassi e il pacchetto varato dal Governo sui crediti in sofferenza sin da subito è apparso a molti addetti ai lavori poco più di acqua fresca. Insomma: come nei primi 40 giorni del 2016 non c’erano ragioni per un tracollo di quelle proporzioni, ora non ci sono i motivi per entusiasmarsi davvero.
Finanza autoreferenziale
Proprio questo è il punto. Mentre noi ci scervelliamo a cercare spiegazioni razionali nella volatilità delle Borse, ci sfugge l’unico vero motivo per cui sono così schizofreniche: i mercati ormai brillano di luce propria. Le ragioni vere del tracollo di gennaio e del rimbalzo di marzo vanno insomma cercate all’interno dei mercati stessi. Il crollo a gennaio è infatti probabilmente nato per un motivo tecnico: molti fondi sovrani dei Paesi esportatori di petrolio sono stati costretti a vendere azioni nelle nostre Borse, per recuperare il denaro che serve loro per tappare le falle causate dal mini-greggio nei bilanci pubblici.
Alle vendite forzate dei fondi sovrani (che muovono grandi
DIETRO LE QUINTE Cina, banche e petrolio sono solo i pretesti della volatilità: a crearla sono in realtà le vendite e gli acquisti «forzati»
quantità di denaro) sono poi seguite numerose reazioni a catena. Sempre di carattere tecnico. Per esempio sono scattati i cosiddetti “margin call”. Le banche concedono spesso finanziamenti accettando azioni in garanzia: quando il valore dei titoli scende, perché le Borse per qualunque motivo perdono quota, le banche chiedono ai clienti il reintegro di quelle garanzie. Se i clienti non hanno azioni o cash sufficiente per soddisfare questa richiesta (e in momenti di panico capita spesso), le banche fanno l’unica cosa che garantisce loro il recupero dei soldi prestati: chiudono i finanziamenti e vendono le azioni messe in garanzia prima che valgano troppo poco. Così il crollo delle Borse alimenta altri crolli.
Se le Borse scendono troppo velocemente e la volatilità impazzisce, sono costretti a vendere anche gli investitori che hanno per statuto un limite di «Value at risk» (cioè di rischio sopportabile) nei loro portafogli. Alimentando così ulteriormente il crollo. Su questi fattori tecnici (ce ne sono anche altri) sguazzano poi la speculazione ribassista e i tanti algoritmi che ormai dominano i mercati. Così a crollo si somma crollo. Poi, quando per qualunque ragione scatta il rimbalzo, gli stessi fattori tecnici giocano al contrario. Esasperando i movimenti rialzisti come prima alimentavano quelli ribassisti.
Se una lezione va tratta da questo pazzo trimestre di Borsa, è proprio questa: i mercati finanziari sono sempre meno legati all’economia reale. E proprio questo è il problema: mercati giganteschi (valgono 9 volte il Pil mondiale) che si muovono quasi autonomamente non possono che essere un pericolo. Ecco perché una riforma della finanza globale, per quanto difficile, è sempre più urgente. Perché la prossima crisi potrebbe non arrivare dalle banche (ormai sono molto più solide di un tempo) o dalla recessione, ma da quei mercati finanziari pieni di bolle e di automatismi che ormai determinano le sorti del mondo.