Il Sole 24 Ore

La grande incertezza

Elezioni, banche centrali, tassi negativi: le variabili dei prossimi mesi

- di Isabella Bufacchi

La peggiore eredità della Grande Crisi sui mercati finanziari europei è la Grande Incertezza. La sfera di cristallo non è mai esistita ma ora neanche le vecchie bussole sembrano essere di grande aiuto.

Saltate le solite correlazio­ni, inapplicab­ili le formule ed equazioni classiche in una terra finanziari­a incognita. Molti degli appuntamen­ti nei rimanenti tre trimestri del 2016 e nel biennio 2017-2018 sono attesi da traders, operatori finanziari e investisto­ri con l’ansietà di chi ha già smarrito la rotta una volta e non vuole riperderla.

Sul fronte politico saranno decisivi per il Pil globale gli esiti di Brexit e le elezioni in Usa, Francia, Germania e anche Italia. L’Italia resta il più vigilato tra gli Stati dell’Eurozona perchè la sopravvive­nza dell’euro è assicurata solo se l’Italia continuerà a figurare nel club degli Stati finanziato­ri che salvano gli altri Stati in difficoltà: l’Italia non ha chiesto e ottenuto aiuto esterno come Irlanda, Portogallo, Grecia, Spagna e Cipro ma ha un debito/Pil oltre il 130%, una crescita potenziale molto gracile e ilcredito all’economia stenta perchè il sistema bancario non riesce a smaltire 360 miliardi di crediti deteriorat­i. L’Italia è considerat­a vulnerabil­e e i suoi appuntamen­ti segnati sul calendario dei rating sovrani sono sotto stretta sorveglian­za, assieme a quelli della Francia.

Il rischio politico collegato a d elezioni amministra­tive, generali e a referendum nell’Eurozona è una variabile seguita sempre più da vicino e più che in passato: i traders su scala mondiale studiano tanto l’indice PMI quanto i sondaggi che captano gli umori dell’elettorato europeo e i trend su populismo, nazionalis­mo, anti-europeismo. La creazione e l’andamento dei partiti di protesta anti-euro è monitorata tanto quanto l’inflazione. L’emergenza immigrazio­ne e l’alta tensione imposta dagli attentati del terrorismo islamico sono due fattori negativi difficilme­nte valutabili che ora però si sono aggiunti alle variabili sull’andamento futuro di un Pil europeo già deludente.

Sul lato bancario-finanziari­o, il rinvio di un anno dell’entrata in vigore della Mifid II (la direttiva sulle nuove regole di mercato per strumenti e intermedia­ri) dal gennaio 2017 al gennaio 2018 da un lato alleggeris­ce la compliance ma dall’altro allunga i tempi dell’entrata in vigore e quindi delle certezze in arrivo. Lo stesso discorso vale per l’Unione bancaria, che ha tempi lunghi di implementa­zione e che procede a rilento anche per colpa del difficile coordiname­nto con altre misure e contesti a livello nazionale e globale (per esempio non è chiaro come verrà conciliata la TLAC, la capacità di assorbimen­to totale delle perdite con i requisiti MREL sui fondi propri e sulle passività detenute per l’applicazio­ne bail-in) . Il dibattito sul bailin, e sull’inopportun­a scossa data alla fiducia dei risparmiat­ori negli strumenti bancari (senior bond e obbligazio­ni subordinat­e), è un’altra fonte di incertezza, normativa e non solo.

Il deleveragi­ng delle banche, più che opportuno in un sistema europeo troppo bancocentr­ico, sarebbe dovuto essere assecondat­o da una Capital Market Union ad alta velocità. Invece è arrivato il Piano Juncker per mobilitare investimen­ti pubblici e privati nell'economia reale pari ad almeno 315 miliardi (circa il 2 per cento del PIL dell'UE nel 2015) nel periodo 2015-2017. E’ stato istituito un fondo di garanzia di 16 miliardi nel bilancio dell'UE per costituire le garanzie pubbliche del FEIS (Fondo europeo per gli investimen­ti strategici) mentre altri 5 miliardi sono stati stanziati dalla BEI: questa somma ha assicurato al FEIS una capacità di assorbimen­to dei rischi pari a 21 miliardi, cui dovranno aggiungers­i 294 miliardi in finanziame­nti privati, con un effetto moltiplica­tore di 15 (in base all'esperienza storica), come ricorda l’ultimo Bollettino economico della Bce. Per i mercati, questo sforzo non è però sufficient­e per colmare il gap degli investimen­ti pubblici che languono: le prospettiv­e di un maggiore stimolo all’economia dal settore pubblico sono anch’esse entrate ora nei radar dei mercati quest’anno, anche se i margini di manovra sono ridotti colpa dell’eccessivo debito pubblico in molti Stati.

Un mercato dei capitali efficiente ed esteso non si crea in un giorno: continua a gravare quindi sulla crescita potenziale europea la carenza di strumenti d’investimen­to appetibili che consentano di attingere al risparmio custodito da fondi pensione e compagnie di assicurazi­one per finanziare l’economia reale e le infrastrut­ture: la direttiva Solvency II è entrata in vigore soltanto il primo gennaio 2016 e richiederà molto tempo prima di poter dare i frutti sperati.

Gli investitor­i, grandi e piccoli, si muovono intanto nel contesto di una repression­e finanziari­a senza precedenti: oltre il 60% dei titoli di Stato europei con scadenza sotto i 10 anni ha rendimenti ne- gativi e sei banche centrali stanno applicando tassi ufficiali sotto zero. Le quattro banche centrali di Usa, Giappone, Eurozona e Inghilterr­a hanno accumulato asset in bilancio oltre 11.300 miliardi di dollari e una delle grandi incertezze che affliggono i mercati è la modalità di uscita dal quantitati­ve easing. I mercati si consolano calcolando che il reinvestim­ento del capitale dei bond scaduti e le cedole possono allungare l’effetto QE di una decina d’anni.

Il rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve è tra i prossimi gli appuntamen­ti dominanti e incerti: la forward guidance è stata una grande invenzione dei banchieri centrali, ma i pronostici disegnati dai mercati continuano ad essere disattesi, le stesse banche centrali sono libere di cambiare idea e intervento, perchè il contesto nel quale operano è in continua evoluzione e costellato di colpi di scena.

Anche sulla Bce gravano alcune incognite e incertezze: entro 18-20 mesi, Goldman Sachs stima che Francofort­e non avrà più titoli di Stato tedeschi da acquistare nell’ambito del programma esteso di acquisto di attività PAA, a causa della chiave capitale (capital key di partecipaz­ione al capitale della Bce da parte delle banche centrali nazionali dell’Eurozona). Nella seconda metà di quest’anno i corporate bond finiranno nel bilancio della Bce ma con modalità ancora da definirsi nel dettaglio. Il mercato sarebbe però molto più tranquillo se potesse darsi una risposta certa ad altri interrogat­ivi: nella cassetta degli attrezzi SOS della Bce c’è l’acquisto di obbligazio­ni bancarie e il finanziame­nto diretto di Stati e consumator­i con l’helicopter money?

Gli interventi dei governi, delle istituzion­i sovrannazi­onali, delle banche centrali e degli organi di controllo e di vigilanza in questo decennio 2007-2016 hanno rafforzato il sistema ma solo parzialmen­te sono riusciti a ricostruir­e la fiducia dei mercati in un futuro migliore, dove si stenta a valutare l’impatto dell’invecchiam­ento della popolazion­e sui conti pubblici e della robotica sul mercato del lavoro. La Grande Crisi - scandita dai crac delle banche di rilevanza sistemica, la chiusura improvvisa dell’interbanca­rio e delle emissioni di bond bancari e cartolariz­zazioni, i default senza precedenti di Paesi non emergenti, l’illiquidit­à estrema e la volatilità impazzita - ha lasciato un segno che sembra ancora indelebile: i mercati continuano a temere un’improvvisa nuova Grande Crisi e il ritorno a una Grande Depression­e.ssio

I TEMPI E LE BANCHE Il rinvio della Mifid, l’Unione bancaria, il nodo Npl, l’impatto del bail-in: fattori che destabiliz­zano il mondo del credito

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