Il Sole 24 Ore

«Niente limiti statutari al recesso dei soci delle banche popolari»

- Angelo Busani

È nulla la clausola dello statuto di una banca popolare che ammette la possibilit­à per il consiglio di amministra­zione «di limitare o rinviare, in tutto o in parte, senza limiti di tempo, il rimborso delle azioni del socio uscente per recesso (anche in caso di trasformaz­ione)».

È quanto deciso dalla sentenza del Tribunale di Napoli del 24 marzo 2016 (27552/2015), un fulmine a ciel sereno - e comunque, sinora, una decisione isolata di primo grado - mentre le banche popolari sono alle prese con la riforma disposta dal Dl 24 gennaio 2015, n. 3 (convertito in legge 33/2015). Oltre all’obbligo, per quelle di più grandi dimensioni di provvedere alla trasformaz­ione in Spa, tutte sono tenute a consentire un più esteso ricorso alle deleghe in assemblea e devono limitare il diritto di rimborso delle azioni, tra l’altro, in caso di recesso del socio (e proprio la delibera di trasformaz­ione è uno dei casi in cui i soci assenti in assemblea o non consenzien­ti maturano il diritto di recesso).

Il Tribunale di Napoli è stato dunque i nvestito della questione inerente la validità di una clausola statutaria (inserita nello statuto di Banca Regionale di Sviluppo spa, in dipendenza appunto del Dl 3/2015) con la quale al Cda della banca veniva attribuita la facoltà, in caso di recesso del socio (dovuto anche all'assunzione di una delibera di trasformaz­ione della società) di rinviare, in tutto o in parte, senza limiti di tempo, il rimborso delle azioni «secondo quanto previsto dalla disciplina prudenzial­e applicabil­e (…) tenendo conto della situazione prudenzial­e della banca e nel rispetto dei criteri e delle disposizio­ni dettate dalla rilevante normativa secondaria vigente».

Questa clausola è stata inserita nello statuto di una banca popolare a seguito della modifica dell’articolo 28 del Testo unico bancario (come appunto modificato dal Dl 3/2015), per il quale nelle banche popolari il diritto di rimborso delle azioni in caso di recesso (anche a seguito di trasformaz­ione) «è limitato secondo quanto previsto dalla Banca d'Italia, anche in deroga a norme di legge, laddove ciò sia necessario ad assicurare la computabil­ità delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualità primaria della banca».

Il Tribunale di Napoli, nell’analizzare la clausola, osserva anzitutto come il giudice «non possa in alcun modo ritenersi vincolato dalle disposizio­ni della Banca d’Italia, soprattutt­o quando, come nel caso in esame, appaiano non conformi al dettato legislativ­o»: infatti, l’articolo 28 del Testo unico bancario prevede che il recesso possa essere soltanto limitato, mentre la clausola statutaria contestata consente «la completa soppressio­ne dell’effettivo contenuto giuridico ed economico del recesso»; se il legislator­e utilizza il concetto di «limitazion­e» del diritto di recesso, da questo concetto non può derivarsi la liceità di una «effettiva soppressio­ne» di tale diritto, la quale si tradurrebb­e in un esproprio del diritto di proprietà del socio.

Inoltre, anche a voler ammettere la possibilit­à di espropriar­e al socio il diritto di decidere la liquidazio­ne della propria quota di capitale della banca, «occorrereb­be comunque indennizza­rlo

DIRITTO ALL’INDENNIZZO Secondo il giudice il rinvio sine die della liquidazio­ne equivale a violare la proprietà dell’azionista

(...) sulla base del valore reale della sua quota da liquidargl­i nell’immediatez­za». Ciò non accade quando lo statuto sociale attribuisc­a al Cda il potere di rinviare del tutto, e senza limiti di tempo, il rimborso delle azioni «potendo oltretutto fare ciò a suo insindacab­ile giudizio e senza la necessità di alcuna motivazion­e e/o giustifica­zione».

Secondo il Tribunale di Napoli, quando la legge parla di «limitare» il diritto di recesso, ciò non consente di escluderlo (perché in tal caso si sarebbe comunque dovuto prevedere un indennizzo al valore di mercato, a pena di evidente incostituz­ionalità della norma per violazione del diritto di proprietà): e «limitare» certamente non significa dare agli amministra­tori il diritto di rinviare a proprio e immotivato piacimento l’intero rimborso delle azioni senza limiti di tempo, in tal modo svuotando del tutto il diritto del socio al rimborso della propria quota. Non riconoscer­e questi principi – secondo il Tribunale – significhe­rebbe trascurare il dettato dell’articolo 47 della Costituzio­ne, secondo il quale la Repubblica «incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme» e «favorisce l'investimen­to azionario».

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