Il Cairo: su Regeni indagini aperte in ogni direzione
L’omicidio del giovane italiano
Le indagini su Giulio Regeni sono a tutto campo e c’è piena cooperazione con gli inquirenti italiani: così il governo egiziano dopo il tentativo di attribuire la morte del ricercatore a una banda di delinquenti.
L’Egitto apre cautamente, attraverso la magistratura, a una versione più credibile sull’omicidio Regeni. Un segnale importante di collaborazione da non lasciare cadere assolutamente. In sostanza per il Cairo l’ipotesi della banda criminale che sequestrava e rapinava gli stranieri, tra cui il 28enne ricercatore italiano, scomparso il 25 gennaio scorso e trovato cadavere nella capitale egiziana il 3 febbraio, «non è l’unica pista seguita dalle autorità giudiziarie egiziane». Le indagini quindi «andranno in ogni direzione». Esattamente quello che il governo italiano chiedeva da tempo.
È quanto avrebbe spiegato il procuratore generale della Repubblica araba d’Egitto, Ahmed Nabil Sadek, al capo della Procura di Roma, Giuseppe Pignatone, nel corso della telefonata di ieri.
In occasione dell’incontro del 5 aprile prossimo tra la polizia italiana e quella egiziana impegnate sul caso legato al caso Regeni sarà trasmessa tutta la documentazione richiesta più volte dall’Italia e anche quella successivamente raccolta in Egitto dopo tale richiesta. È quanto avrebbe garantito sempre il procuratore generale Sadek.
Pignatone, dal canto suo, oltre a ribadire l’inidoneità a fare chiarezza delle risultanze fin qui acquisite e comunicate dall’Egitto nel caso Regeni, (chiaro riferimento alla fantasiosa versione della banda di rapinatori specializzata nei rapimenti di stranieri) ha comunque espresso apprezzamento per l’impegno manifestato dal procuratore generale Sadek.
Anche l’esecutivo egiziano è intervenuto ieri usando il bastone e la carota. «Non abbiamo l’abitudine di cambiare», ha detto il ministro aggiunto dell'Interno per l'informazione , il generale Abu Bakr Abdel Kerim. E ancora. «C’è piena collaborazione tra il ministero dell’Interno egiziano e gli apparati di sicurezza italiani», ha detto il ministro dell’Interno egiziano, Magdy Abdel-Ghaffar. Oltre a ricordare che c’è uno scambio continuo di informazioni, il ministro egiziano ha spiegato che la «cooperazione con la parte italiana è naturale, perché il caso è molto difficile e avvolto nel mistero da tutte le parti».
Le indagini, come ricorda il sito Ahram Online, sono ancora in corso. Il caso, ha aggiunto AbdelGhaffar, in tono polemico verso la stampa, è diventato «molto difficile» per «campagne ostili» che sollevano dubbi sugli sforzi del ministero dell’Interno egiziano nella gestione del caso. «Queste campagne - ha detto - sono lanciate in primo luogo dai media». Insomma l’Egitto è pronto a cooperare per spegnere le polemiche e i possibili motivi di attrito tra i due Paesi legati da molti e rilevanti interessi economici. Speriamo che nei prossimi giorni si arrivi ad un passo per conoscere finalmente la verità.
Intanto la severa politica dell’ordine pubblico in Egitto è stata messa sotto esame da alcuni accademici americani. L’escalation della repressione in Egitto, con le detenzioni arbitrarie, l’uso della tortura e di omicidi, tra cui l’assassinio dello studente italiano Giulio Regeni, che aveva lavorato per la società di informazioni Oxford analytica, fondata da David Young, un ex collaboratore dell’ex presidente americano Richard Nixon, sono stati denunciati in una lettera in-
CORREZIONE DEL TIRO Telefonata tra il procuratore egiziano e il pm Pignatone in seguito alla versione che parlava di criminali comuni uccisi dalla polizia
viata da alti esperti americani sul Medio Oriente al presidente Usa Barack Obama.
È quanto ha rivelato il New York Times che, prendendo spunto dalla denuncia, ha chiesto ad Obama di rivedere i rapporti con l’Egitto. «Da quando l’esercito egiziano ha preso il potere nel colpo di stato dell’estate del 2013, la politica dell’amministrazione Obama verso l’Egitto è stata caratterizzata da una serie di ipotesi errate. È giunto il momento di sfidare queste ipotesi e valutare se un’alleanza che è stata a lungo considerata una pietra miliare della politica di sicurezza nazionale americana stia facendo più male che bene», ha scritto il quotidiano.
E ancora: «Quando l’amministrazione Obama si è concentrata sulla lotta all’Isis, ha ripreso la consegna di aiuti militari, sostenendo che l’alleanza con l’Egitto era troppo importante». Pragmatismo o idealismo wilsoniano: il pendolo della politica estera americana oscilla da un secolo tra questi due estremi.