Money transfer e mediatori, così i soldi arrivano al terrorismo
Il rapporto di complementarietà tra terrorismo internazionale e uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio è uno dei temi più significativi nel complesso di relazioni tra la criminalità organizzata di tipo mafioso e terrorismo. Non usa mezzi termini la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (Dnaa) nell’analizzare le enormi disponibilità di fondi e di mezzi materiali, che significano – secondo la Convenzione Onu per il contrasto al finanziamento del terrorismo del 9 dicembre 1999 – denaro e mezzi di ogni genere, strutture logistiche, armi, documenti contraffatti, coperture e rifugi, che la criminalità organizzata può fornire e – come numerose indagini dimostrano – frequentemente fornisce.
È anche grazie a questo intreccio perverso che, secondo le stime che la stessa Dnaa riporta nella relazione 2015 presentata il 2 marzo, l’Isis accumula circa tre miliardi di dollari all’anno con attività criminali di vastissima portata, traffici di stupefacenti, armi e migranti, contrabbando di petroli, opere d’arte e tabacchi, estorsioni e sequestri, corruzione e riciclaggio.
Si tratta di attività criminali che hanno bisogno di una vasta rete di complicità esterne all’associazione terroristicomafiosa, che per generare profitti tendono a interagire anche con l’economia legale e circuiti ufficiali. Basti pensare alle condotte di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo realizzabili attraverso i circui- ti money transfer.
E proprio le attività dei money transfer – non solo in Italia ma in tutta Europa e nelle rispettive sponde oltre i confini geografici del Vecchio continente – sono una nota che continua ad essere dolente, nonostante l’intensificazione dei controlli (basti pensare che la sola Gdf dal 2010 ad aprile 2015 ha effettuato 1.051 verifiche contestando 247 violazioni di natura penale) e il sistema legislativo di garanzie antiriciclaggio, che quasi sempre rimangono però sulla carta o possono essere eluse. «L’im- piego di risorse per sostenere il “terrore” – dirà il 2 marzo Claudio Clemente, direttore dell’Unità di informazione finanziaria di Bankitalia nel corso di un convegno all’Università Luiss di Roma – canalizzandole attraverso operatori appartenenti al sistema legale, presenta analogie operative con il riciclaggio e, come per questo, richiede, al di là della sanzione del colpevole, una reazione e un’alleanza più ampia volte all’isolamento di chi intende realizzare azioni delittuose e della loro rete di complicità».
Stefano Screpanti, a capo del III Reparto operazioni del Comando generale della Gdf, metterà sotto la lente, ancora una volta, il buco nero dei money transfer, nel corso dell’audizione del 29 luglio 2015 presso il Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen.
Screpanti ricordò che nel 2014 il valore delle rimesse verso l’estero – in gran parte effettuate con il ricorso a questi sportelli finanziari che in Italia sono circa 15mila, il 90% dei quali riconducibile a operatori stranieri – era stato di 5,3 miliardi ma rammentò che il dato era sottostimato, in quanto non è possibile quantificare, anche solo in via approssimativa, i trasferimenti che avvengono attraverso altri canali informali. Tra questi spicca il metodo “Hawala” che non lascia alcuna traccia documentale del flusso finanziario. Attraverso questo sistema, il cliente avvicina in Italia un mediatore (cosiddetto “hawaladar”) e gli consegna una somma di denaro da trasferire ad un destinatario che si trova in un altro Paese. In sintesi, l’hawaladar “italiano” contatta il suo omologo all’estero (ma il flusso è anche inverso) e gli fornisce le dovute informazioni su chi sia il destinatario dei fondi e sull’importo della somma di denaro da consegnargli (di solito sottraendo una commissione), promettendo di saldare i debiti in una data successiva. Il pagamento dei debiti tra gli “hawaladar” può assumere diverse forme, basate non solo su operazioni di regolamento per cassa ma, soprattutto, su meccanismi di “compensazione”.one
L’ANALISI BANKITALIA «Le risorse per sostenere il terrore vengono canalizzate attraverso operatori legali: occorre un’alleanza per isolare i responsabili»