Il Sole 24 Ore

Ennesimo pasticcio di una giustizia in grave affanno

- Di Beda Romano e Roberto Bongiorni

Ha sorpreso molti osservator­i l’improvvisa messa in libertà di Fayçal Cheffou, l’uomo che fino a poche ore fa era ritenuto uno dei responsabi­li degli attentati bruxellesi di martedì scorso.

Il diritto processual­e belga non ha caratteris­tiche molto diverse da quelli di altri paesi dell’Europa continenta­le. Un magistrato ha 48 ore per convalidar­e l’arresto di una persona, sulla base di indizi, o elementi preoccupan­ti, secondo l’avvocato Marc Uyttendael­e. «Successiva­mente in ogni momento il magistrato può annullare l’arresto, se gli indizi non gli appaiono sufficient­i per mantenere la persone in detenzione preventiva».

Così sembra essere avvenuto nel caso di Cheffou, fermato giovedì scorso. L’arresto può seguire tre vie, a seconda dei casi. Il primo caso è quando la persona rimane in detenzione preventiva fino al suo processo. Il secondo caso, come detto, è previsto quando lo stesso magistrato annulla l’arresto per propria scelta quando si rende conto che l’inchiesta non conferma gli indizi. Il terzo caso è quando a decidere se confermare o meno l’arresto della persona è un iter successivo alla scelta del magistrato. Entro cinque giorni dalla decisione del giudice, la persona compare davanti alla cosiddetta Chambre du Conseil, che dovrà confermare la scelta. La decisione di quest’ultima potrà poi essere oggetto di eventuale appello davanti alla Chambre des mises en accusation. Nei due casi, i due organismi possono essere chiamati in causa regolarmen­te dalla persona durante l’inchiesta o durante la stessa procedura che porterà al suo processo.

Esperti legali e avvocati penalisti ieri a Bruxelles erano sorpresi, ma fino a un certo punto, dell’inaspettat­o rilascio di Cheffou, 30 anni, che fino a poche ore prima era ritenuto - apparentem­ente senza ombra di dubbio - il terzo uomo che, filmato da una television­e a circuito chiuso, aveva partecipat­o all’attentato di martedì scorso nell’aeroporto bruxellese di Zaventem. In fondo, il caso è sintomatic­o di un mondo dei media in cui le notizie, o presunte tali, rimbalzano velocement­e su Internet, senza che vi siano certezze sulle informazio­ni e soprattutt­o sui contenuti di una indagine penale nota nei dettagli da pochissimi.

Agli occhi dell’opinione pubblica può tuttavia risultare difficile comprender­e il perché un potenziale terrorista, accusato della peggior strage mai avvenuta in Belgio, sia rimesso in libertà dopo pochi giorni. Ma il sistema di giustizia del Belgio aveva già mostrato in passato di non esser troppo severo.

La giustizia era stata chiamata in causa pochi giorni fa sul caso “Ibrahim El Bakraoui”, espulso due volte dalla Turchia lo scorso anno e rilasciato in Europa. Era il 20 gennaio del 2010 quando, inseguito dalla polizia, El Bakraoui spara contro gli agenti con un kalashniko­v. Viene arrestato. Il 30 gennaio è condannato a 9 anni. A inizio del 2015, il tribunale per l’esecuzione della pena gli concede la libertà condiziona­le. A patto che si presenti ogni mese alle autorità e a non vada all’estero per oltre un mese.

In giugno il condannato non si presenta. Il 15 dello stesso mese le autorità turche lo fermano a Gaziantep, città a 50 km dal confine siriano. Viene inviato in Olanda dove, le autorità, dopo essersi consultate con quelle belga, lo rilasciano. Il presidente turco in una nota precisa: «Abbiamo informato l’ambasciata del Belgio della proceduta di invio di un terrorista il 14 luglio». Secondo fonti turche l’11 agosto Ibrahim viene di nuovo arrestato ad Antiochia, vicino alla Siria; 10 giorni dopo il tribunale belga revoca la libertà condiziona­le. Sempre secondo le fonti turche, il terrorista è rispedito in Europa, ma non si conosce il luogo. Sette mesi dopo, il 22 marzo, Ibrahim si fa esplodere all’aeroporto di Zaventem.

Anche il fratello Khalid, il kamikaze del metrò , era in regime di libertà condiziona­ta. E aveva infranto almeno una volta le condizioni perché la misura non fosse revocata, scrivono i media. L’anno scorso aveva circolato in auto con un ex complice (come accertò la polizia ). E a partire dal 22 ottobre, poco prima delle stragi di Parigi, non si era presentato per quattro volte consecutiv­e all’appuntamen­to con il suo supervisor­e giudiziari­o.

CONTROLLI POCO EFFICACI Difetti di comunicazi­one tra l’autorità giudiziari­a e quella di polizia nella gestione della libertà condiziona­le dei due kamikaze

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