Spending fase 3: nel Def solo linee guida, sui target pesa il «nodo» flessibilità
Nessun nuovo taglio ma solo alcune regolazioni contabili sulla spesa nell’aggiustamento amministrativo da quasi 3 miliardi in arrivo per collocare il rapporto deficit-Pil 2016 attorno al 2,3 per cento. A ratificare questa operazione, che potrebbe essere realizzata operativamente a giugno con il varo del disegno di legge di assestamento, dovrebbe essere una Nota da integrare nel Def. Che sarà varato entro il 10 aprile e che, oltre a un articolato Programma nazionale per le riforme (Pnr), dovrebbe contenere le linee guida della nuova spending review triennale (la cosiddetta “fase 3”) ma non la dote attesa dalla revisione della spesa per il 2017. L’entità della “spending” dovrebbe essere messa nero su bianco solo in autunno, in concomitanza con il varo della Nota di aggiornamento al Def e della legge di stabilità, quando il Governo conoscerà il “grado” di flessibilità che potrà utilizzare nel 2017, si sta trattando con la Ue, oltre che il giudizio finale di Bruxelles sulla manovra 2016 atteso per maggio.
Il nostro Paese sarebbe in pressing per ottenere un’ulteriore flessibilità pari a 1-1,2 punti anche se dal Governo non ci sono conferme ufficiali, ma Bruxelles, che ufficialmente frena, sarebbe disposta a concedere uno “spazio” molti più ristretto. E con tutta probabilità l’esito di questo confronto avrà una ricaduta finale anche sulla quantificazione della revisione della spesa per il prossimo anno fa far scattare con la prossima “stabilità”.
Una “stabilità” che dovrebbe nascere, almeno parzialmente, all’insegna della riforma del bilancio, in via di completamento con i decreti attuativi all’esame del Parlamento, con la quale la spending review non solo diventerà obbligatoria e permanente ma si svilupperà secondo una precisa tabella di marcia sia nella definizione degli obiettivi di contenimento di spesa da parte della amministrazioni pubbliche, in primis i ministeri, sia nell’individuazione degli interventi necessari.
La spending review resta insomma un punto fermo nel Documento di economia e finanza che sta mettendo a punto il Governo anche se non è detto che nel prossimo triennio venga replicato al centesimo l’obiettivo perseguito dall’esecutivo secondo le cifre diffuse da Palazzo Chigi e dal ministero dell’Economia: 25 miliardi di riduzione di spesa con effetto 2016 a partire dal 2014. Quello che appare già certo è che l’aggiustamento amministrativo da circa 3 miliardi sul 2016 non poggerà su nuovi tagli strutturali alla spesa ma prevalentemente sul maggior gettito assicurato dalla voluntary disclosure. Come già annunciato dal Governo, per collocare quest’anno il rapporto deficit-Pil attorno a quota 2,3% (e comunque non oltre il 2,4%), ovvero due decimali in meno sotto le stime d’inverno della Commissione europea, non si ricorrerà a manovre correttive. E la conferma arriva dal viceministro dell’Economia, Enrico Morando.
«Non c’è bisogno di manovre correttive, c’è bisogno invece di seguire con grande attenzione l’evoluzione della situazione economica perché è chiaro che siamo in una situazione dove gli elementi di instabilità e quindi di incertezza si vengono accentuando», afferma Morando. Che si sofferma anche sulla
IL NODO CORREZIONE Il viceministro Morando : per il 2016 non servono manovre correttive ma va seguita l’evoluzione della situazione economica
questione della flessibilità in uscita per le pensioni: «Può essere che, come ci siamo impegnati a fare, qualcosa accada più avanti nei prossimi mesi, ma ad oggi non ci sono novità».
Tornando al Def, il Pil 2016 dovrebbe essere ritoccato dal previsto 1,6% all’1,3% (v. Il Sole 24 Ore del 27 marzo), anche se una decisione definitiva sarà presa dal Governo solo in prossimità della presentazione del Documento di economia e finanza che potrebbe contenere anche nuove indicazioni sul versante delle privatizzazioni.
Quanto alla “spending”, il commissario Yoram Gutgeld starebbe lavorando soprattutto sul fronte dell’efficientamento delle uscite e della revisione dei processi di spesa, a cominciare da quelli di tipo “organizzativo”. Il grosso dei risparmi dovrebbe arrivare dal decollo del nuovo meccanismo di centralizzazione degli acquisti Pa con sole 33 stazioni appaltanti, dall’estensione del raggio d’azione del dispositivo dei fabbisogni standard per gli enti territoriali, dall’attuazione della riforma Pa (anche se la dote legata al taglio delle partecipate resterà a disposizione dei Comuni) e dalla razionalizzazione delle modalità di gestione degli immobili pubblici.