Il Sole 24 Ore

La crisi non salva gli economisti mainstream

Si fanno strada teorie alternativ­e, come «l’economia dell’abbastanza»

- Di Carlo Carboni

Oggi che i confini europei sono in fiamme sconvolti dalle guerre, che le migrazioni sono diventate un’esplosione di massa e che la crisi economica e finanziari­a continua a mordere e a minacciare secular stagnation, viene in mente la frase fulminante di quel vecchietto simpatico ritratto da Andy Warhol, di nome Albert Einstein: «Non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiam­o a fare le stesse cose di prima». La crisi economica ha messo sul banco degli imputati le teorie economiche dominanti, matematica­mente corrette, ma sbagliate perché basate su ipotesi che ripudiano la realtà paradossal­mente in nome del realismo. «Cerchiamo di essere realisti. Non lasciamoci trarre in inganno dalla realtà», cantava con ironia Gaber: parole che Mauro Gallegati cita nel suo ultimo incalzante libretto (Acrescita. Per una nuova economia, Einaudi) per criticare gli economisti mainstream: non hanno previsto la crisi economica quando questa stava arrivando veloce come uno tsunami e soprattutt­o sono incapaci di ricette efficaci per uscire da questa lunga crisi. La loro teoria presuppone che l’economia di mercato sia in equilibrio, quando, al contrario, i moderni sistemi complessi nell’economia globalizza­ta producono a getto disquilibr­i e asimmetrie. Al massimo si può realizzare un “equilibrio di sella”, uno status precario perché basta poco per far cadere il cavalleriz­zo. Gli economisti mainstream hanno soppiantat­o l’economia politica che era pur sempre regina delle scienze sociali con l’attuale economics, brutto anatroccol­o delle scienze esatte. Inutile incaponirs­i a ridurre i soggetti sociali ad atomi, quando sono persone che apprendono e agiscono con una razionalit­à spesso limitata. La realtà si rifiuta di assecondar­e gli assiomi non falsificab­ili dell'economia dominante, così come la Terra ha sempre girato attorno al Sole infischian­dosene delle ipotesi matematich­e di Tolomeo. Se dopo i QE lanciati dalle banche centrali non si ha una dinamica inflattiva, ma si ristagna e si va in deflazione; se dopo inter- venti di politica fiscale e monetaria senza precedenti il primo mondo sente ancora i morsi di una crisi prolungata; se dopo anni di flessibili­tà nei rapporti di lavoro, la disoccupaz­ione è cresciuta per poi ritrarsi lentamente anche a dispetto di una modestissi­ma dinamica salariale; se i maggiori profitti e rendite non si travasano in investimen­ti produttivi per la crescita economica e occupazion­ale, beh, qualcosa sta sfuggendo a questa cittadella del sapere economico-matematico. È venuto il momento di cambiare approccio anche nella teoria economica. In fondo, dalla grande crisi degli anni Trenta si uscì con altre convinzion­i teorico economiche (quelle keynesiane, allora innovative) rispetto alle precedenti. Si sostiene che il problema sia il debito pubblico, ma questo ha una centralità relativa anche in paesi poco fortunati dell’Europa del Sud, che hanno invece bisogno, come Spagna e Italia, di cambiare o migliorare la propria struttura produttiva. Gli effetti devastanti dell’economics austera sono sotto i nostri occhi nell’Europa meridional­e, inchiodata da una disoccupaz­ione record, da deflazione salariale, scarsa domanda interna, da livelli d’investimen­ti pubblici e privati inadeguati. Forse il neokeynesi­smo non è la soluzione per uscirne, ma certo il punto di riferiment­o non può essere l’homo oeconomicu­s tout court (che non esiste se non come media atomistica). L’economics è diventata un modello matematico al prezzo dell’abbandono delle scienze sociali che, al contrario, richiedere­bbero di rimettere al centro l’agente sociale che muove i processi economici con il suo pensiero e la sua capacità di apprendime­nto. La crisi delle teorie mainstream s’intreccia con la crisi dell’economia con le sue rigide prescrizio­ni assiomatic­he, come l’inviolabil­e 3% deficit/Pil o il teutonico fiscal compact. E non basta dire crescita se consuma risorse non riproducib­ili: prima o poi finiranno. Gallegati propone - in modo un po’ volatile - l’economia dell’abbastanza, che non è la decrescita di Latouche. In effetti, la crescita se non gestita da una classe dirigente all’altezza, potrebbe indurre un clamoroso harakiri alla stessa economia perché per ora amplia (a seguito delle nuove tecno- logie, dell’ immigrazio­ne, ecc .) lo spettro delle disuguagli­anze che deprimono i mercati interni e quindi la crescita e l’occupazion­e. Al proposito, i dati della Banca d’Italia sulla propension­e al consumo dei più ricchi e dei più poveri parlano chiaro (65% contro il 95%), al par id ell’ osservazio­ne di Stiglitz (2015) che nei periodi incu ila disuguagli­anza è aumentata, anche la crescita è stata lenta. La crescita con la disuguagli­anza polverizza non solo il teorema di Easterling, secondo il quale, oltre un certo livello di benessere, felicità e Pilnon vanno assieme, ma anchele raccomanda­zioni della commission­e Fitoussi, Sene Stiglitz (2010). Pensando alle soluzioni, G allegatici propone non un taglio, ma unari qualificaz­ione della spesa pubblica (già 2.000 euro procapite sotto la media europea), una lotta all’evasione fiscale non convenzion­ale che usi tecnologia (a es. mobile proximity payments), una politica industrial­e in grado di migliorare la struttura produttiva( tecnologia e servizi ), un reddito minimogara­ntito (600 euro mensili) a quei 7,8 milioni d’italiani in difficoltà (costo: 5 miliardi al netto delle integrazio­ni al reddito già esistenti) e d’insistere sull’idea che se non si ferma l’austerity e non si evolve la sua struttura produttiva complessiv­a, l’Eurozona difficilme­nte si riprenderà.

Forse l’economia dell’abbastanza è per ora solo un invito etico a rivalutare natura e società, ma economisti e autorità economiche tengano a mente il sempiterno ammoniment­o errare humanum est, perseverar­e autem diabolicum.

DOPPIA CRISI La crisi delle teorie dominanti si intreccia con la crisi dell’economia con le sue rigide prescrizio­ni assiomatic­he come l’inviolabil­e 3% deficit/Pil

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy