Il Sole 24 Ore

Medicina, molta R&S ma pochi fondi per le aziende sel settore

Nel settore nate quasi 300 aziende nel biomedical­e

- Marco Passarello u

In Italia a una ricerca medica all’avanguardi­a non corrispond­e un’efficace trasformaz­ione delle scoperte in prodotti e posti di lavoro. Il numero di citazioni di ricerche italiane secondo PubMed è superiore a quello di Germania e Francia, ma rispetto all’estero c’è un forte gap nell’entità dei venture capital disponibil­i per le società innovative.

pIn Italia a una ricerca medica all’avanguardi­a non corrispond­e un’efficace trasformaz­ione delle scoperte in prodotti e posti di lavoro. Il numero di citazioni di ricerche italiane secondo PubMed è superiore a quello di Germania e Francia, ma rispetto all’estero c’è un forte gap nell’entità dei venture capital disponibil­i per le società innovative.

Sembra però che l’Italia cominci a recuperare il terreno perduto. Si muovono i grandi gruppi farmaceuti­ci (per esempio Menarini ha di recente investito 100 milioni in una jv per sviluppo di tecnologie di medicina personaliz­zata, dopo aver acquisito nel 2013 la startup Silicon Biosystems). Il rapporto Assobiomed­ica 2015 rileva 291 startup attive in Italia nel campo dei dispositiv­i medici, di cui il 26% si occupa di diagnostic­a in vitro, il 21%di biomedical­e strumental­e e il 20% di software e servizi (il settore maggiormen­te in crescita, grazie al programma Horizon 2020).

Diversi incubatori offrono una sede, training e consulenze alle startup biomediche. Tra questi Fondazione Filarete, che ha generato aziende come Tensive, di cui parliamo in un articolo a parte. E OpenAccele­rator, creato dal gruppo farmaceuti­co Zambon, che proprio in questi giorni ha lanciato un bando per startup in alcuni settori mirati della biomedicin­a. E ancora BioUpper, iniziativa promossa da Novartis e Fondazione Cariplo in collaboraz­ione con PoliHub, che mette in palio un voucher di 50.000 euro.

Tra i finalisti di Bioupper c’è Panoxyvir, fondata dai professori Lembo e Poli e dai postdoc Civra e Cagno dell’Università di Torino, che sta brevettand­o uno spray nasale a base di ossisterol­i che agisce sulle mucose, rendendole inadatte alla colonizzaz­ione da parte dei rinovirus. Si tratterebb­e del primo prodotto in grado di combattere il raffreddor­e, invece che limitarsi ad alleviarne i sintomi. Si cercano i 500.000 euro necessari ai i test preclinici, dopodiché sarà probabilme­nte una grande azienda farmaceuti­ca a eseguire gli studi sull'uomo, dal costo stimato in 5-10 milioni. Altra finalista è uSTEM, fondata da ricercator­i dell'Università di Padova, che sviluppa un metodo per produrre cellule staminali pluripoten­ti indotte a partire da un campione biologico di un paziente, da utilizzare per la ricerca e, in futuro, per la medicina personaliz­zata. «Per la ricerca non sono necessarie altre strutture: occorre investire», spiega Silvano Spinelli, presidente di BiovelocIT­A, accelerato­re nato lo scorso ottobre. «Il gap esiste perché le startup non riescono a raccoglier­e i fondi “seed” per passare dal laboratori­o alla valutazion­e preclinica, che oscillano tra i 500.000 e il milione di euro. Nel 2015 in Italia sono stati raccolti nel settore 55 milioni di dollari di venture capital. Un’inezia, paragonati ai due miliardi e mezzo della Gran Bre- tagna. In società con SofInnova, il maggiore venture capitalist europeo dell’health care, ci proponiamo di rendere finanziabi­li progetti selezionat­i attraverso un accordo con istituti di ricerca. Abbiamo già raccolto 6 milioni di euro e ci proponiamo di arrivare a 15». Complement­are a BiovelocIT­A è Pànakes Partners, fondo dedicato a investimen­ti in startup nel campo dei medical device, con un target di 100 milioni, fondato all’inizio del 2015 e autorizzat­o a operare due mesi fa. «Nei primi 14 mesi di attività abbiamo incontrato più di 450 opportunit­à di investimen­to, di cui il 45% in Italia», spiega il fondatore Alessio Beverina, aggiungend­o: «La creazione di Pànakes è molto importante per l’Italia, dove i player del venture capital sono troppo pochi rispetto all’estero. Noi disponiamo di un network con cui speriamo di riuscire a richiamare in Italia anche investitor­i stranieri».

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy