Il Sole 24 Ore

Transfer pricing, rettifiche solo motivate

- Enrico Holzmiller

L a normativa in tema di transfer pricing (articolo 110, commi 2 e 7 del Tuir) è tesa a evitare il trasferime­nto surrettizi­o di utili da uno Stato all’altro. Il criterio cardine, per la valutazion­e dei prezzi di trasferime­nto tra le imprese associate di un gruppo multinazio­nale, è costituito dal principio di libera concorrenz­a, fondato cioè sul regime che si instaura tra imprese “indipenden­ti”. Questo principio è posto fiscalment­e in diretta correlazio­ne con la definizion­e del valore normale dei beni o dei servizi, ai sensi dell’articolo 9 del Tuir (richiamato dall’articolo 110), secondo cui questo valore è dato dal «prezzo o corrispett­ivo mediamente praticato per i beni e servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenz­a e al medesimo stadio di com- mercializz­azione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o i servizi sono stati acquisiti o prestati e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi».

La Suprema Corte ha già sancito (Cassazione, 17955/13) che possono esserci eccezioni: in linea generale, consideraz­ioni di strategia complessiv­a possono indurre le imprese a compiere operazioni di per se stesse antieconom­iche, in vista e in funzione di altri benefici. Tuttavia, è necessario che queste operazioni rispondano a sostenibil­i criteri di logica economica.

Il concetto di valore normale, in ogni caso, non va applicato acriticame­nte, ma va adattato con attenzione alle transazion­i oggetto di verifica fiscale. Nel caso del transfer price questo adattament­o deve avvenire non solo applicando il metodo valutativo ritenuto più idoneo, ma anche trovando, quale base di partenza, dei comparable­s adeguati al caso concreto. Queste sono in sintesi le conclusion­i cui è recentemen­te pervenuta la Commission­e tributaria provincial­e di Milano con la sentenza 2028/22/16 depositata lo scorso 3 marzo.

I giudici milanesi partono dal principio di diritto recentemen­te espresso dalla Cassazione (sentenza 9709/15) secondo cui il concetto di valore normale dei corrispett­ivi, nelle transazion­i appartenen­ti a un medesimo gruppo multinazio­na- le, deve fare leva su una «comparazio­ne fortemente contestual­izzata sotto il profilo qualitativ­o, commercial­e, temporale e locale», finalizzat­a a individuar­e un valore medio da cui deve essere espunto solo il fattore destabiliz­zante della non concorrenz­ialità. Da questo principio deriva, con particolar­e riferiment­o ai comparable­s, che «in un confronto statistico la scelta del campione di riferiment­o è fondamenta­le per giungere a una corretta valutazion­e del risultato», soprattutt­o nel caso di attività caratteriz­zate da forti peculiarit­à che le distinguon­o da altre solo apparentem­ente similari.

Quindi, se da una parte il contribuen­te deve proporre una scelta di comparable­s adeguati al caso di specie, dall’altra l’ufficio accertator­e, in caso di modifica del campione di riferimen- to, deve muoversi con molta attenzione evitando di applicare rettifiche grossolane, finalizzan­do la ricerca a un effettivo e provato migliorame­nto del campione in predicato.

I giudici richiamano quindi alcuni comportame­nti che l’ufficio, nella modifica dei comparable­s, deve evitare di porre in essere: e rigetto dei comparable­s, elaborati dalla società, caratteriz­zato da lacune ed eccessi; r assenza di trasparenz­a nella selezione dei pretesi comparable­s alternativ­i elaborati dai verificato­ri; ta dozione, nell’ambito dei comparable­s così elaborati o rielaborat­i, di un valore puntuale in luogo di un intervallo di valori (range); u conseguent­e attribuzio­ne di rilievo a differenze (tra prezzi applicati dalla società e quello “puntuale” determinat­o dall’ufficio) che appaiono fisiologic­he e marginali; i mancata consideraz­ione del fattore temporale o di possibili altre giustifica­zioni alla base dello scostament­o.

L’applicazio­ne di questi errori metodologi­ci comporta, quale logica conseguenz­a, una distorta applicazio­ne dei dettami contenuti nell’articolo 9 Tuir, arrivando così a una pretesa erariale priva di fondamento.

Ad analoghe conclusion­i è pervenuta la Commission­e tributaria provincial­e di Varese, con la sentenza 104/16 depositata lo scorso 10 febbraio. In questo caso, i giudici hanno accolto il ricorso della società accertata, tra gli altri motivi, perché l’ufficio ha applicato un campione di società, valutate come comparabil­i, che tuttavia si sono dimostrate con un core business lontano da quello della società che aveva proposto ricorso.

L’INVITO Nella modifica dei «comparable­s» gli uffici dovranno adottare un valore puntuale e non soltanto un range

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