Transfer pricing, rettifiche solo motivate
L a normativa in tema di transfer pricing (articolo 110, commi 2 e 7 del Tuir) è tesa a evitare il trasferimento surrettizio di utili da uno Stato all’altro. Il criterio cardine, per la valutazione dei prezzi di trasferimento tra le imprese associate di un gruppo multinazionale, è costituito dal principio di libera concorrenza, fondato cioè sul regime che si instaura tra imprese “indipendenti”. Questo principio è posto fiscalmente in diretta correlazione con la definizione del valore normale dei beni o dei servizi, ai sensi dell’articolo 9 del Tuir (richiamato dall’articolo 110), secondo cui questo valore è dato dal «prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di com- mercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o i servizi sono stati acquisiti o prestati e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi».
La Suprema Corte ha già sancito (Cassazione, 17955/13) che possono esserci eccezioni: in linea generale, considerazioni di strategia complessiva possono indurre le imprese a compiere operazioni di per se stesse antieconomiche, in vista e in funzione di altri benefici. Tuttavia, è necessario che queste operazioni rispondano a sostenibili criteri di logica economica.
Il concetto di valore normale, in ogni caso, non va applicato acriticamente, ma va adattato con attenzione alle transazioni oggetto di verifica fiscale. Nel caso del transfer price questo adattamento deve avvenire non solo applicando il metodo valutativo ritenuto più idoneo, ma anche trovando, quale base di partenza, dei comparables adeguati al caso concreto. Queste sono in sintesi le conclusioni cui è recentemente pervenuta la Commissione tributaria provinciale di Milano con la sentenza 2028/22/16 depositata lo scorso 3 marzo.
I giudici milanesi partono dal principio di diritto recentemente espresso dalla Cassazione (sentenza 9709/15) secondo cui il concetto di valore normale dei corrispettivi, nelle transazioni appartenenti a un medesimo gruppo multinaziona- le, deve fare leva su una «comparazione fortemente contestualizzata sotto il profilo qualitativo, commerciale, temporale e locale», finalizzata a individuare un valore medio da cui deve essere espunto solo il fattore destabilizzante della non concorrenzialità. Da questo principio deriva, con particolare riferimento ai comparables, che «in un confronto statistico la scelta del campione di riferimento è fondamentale per giungere a una corretta valutazione del risultato», soprattutto nel caso di attività caratterizzate da forti peculiarità che le distinguono da altre solo apparentemente similari.
Quindi, se da una parte il contribuente deve proporre una scelta di comparables adeguati al caso di specie, dall’altra l’ufficio accertatore, in caso di modifica del campione di riferimen- to, deve muoversi con molta attenzione evitando di applicare rettifiche grossolane, finalizzando la ricerca a un effettivo e provato miglioramento del campione in predicato.
I giudici richiamano quindi alcuni comportamenti che l’ufficio, nella modifica dei comparables, deve evitare di porre in essere: e rigetto dei comparables, elaborati dalla società, caratterizzato da lacune ed eccessi; r assenza di trasparenza nella selezione dei pretesi comparables alternativi elaborati dai verificatori; ta dozione, nell’ambito dei comparables così elaborati o rielaborati, di un valore puntuale in luogo di un intervallo di valori (range); u conseguente attribuzione di rilievo a differenze (tra prezzi applicati dalla società e quello “puntuale” determinato dall’ufficio) che appaiono fisiologiche e marginali; i mancata considerazione del fattore temporale o di possibili altre giustificazioni alla base dello scostamento.
L’applicazione di questi errori metodologici comporta, quale logica conseguenza, una distorta applicazione dei dettami contenuti nell’articolo 9 Tuir, arrivando così a una pretesa erariale priva di fondamento.
Ad analoghe conclusioni è pervenuta la Commissione tributaria provinciale di Varese, con la sentenza 104/16 depositata lo scorso 10 febbraio. In questo caso, i giudici hanno accolto il ricorso della società accertata, tra gli altri motivi, perché l’ufficio ha applicato un campione di società, valutate come comparabili, che tuttavia si sono dimostrate con un core business lontano da quello della società che aveva proposto ricorso.
L’INVITO Nella modifica dei «comparables» gli uffici dovranno adottare un valore puntuale e non soltanto un range