Il Sole 24 Ore

Niente accatastam­ento per le reti di Tlc

- Giulio Mazzotti

pI l decreto attuativo della direttiva 2014/61 fa chiarezza: le infrastrut­ture di reti di comunicazi­one elettronic­a non vanno accatastat­e. Le infrastrut­ture di telecomuni­cazione non sono unità immobiliar­i e, come tali, non vanno iscritte in catasto e non soggiaccio­no alla fiscalità conseguent­e.

È d’impatto l’intervento del legislator­e che, nell’ambito del decreto legislativ­o 33/2016 attuativo della direttiva 2014/61/Ue sulla riduzione dei costi delle reti di comunicazi­one elettronic­a ad alta velocità, ha deciso di dare una svolta all’annosa questione dell’accatastam­ento delle i nfrastrutt­ure Tlc. Si tratta dei tralicci, ripetitori, stazioni radio base, antenne - oltre alle opere per l'installazi­one della rete - ancorati a muri o altri supporti oppure i mpiantati dentro aree recintate.

In passato sia l’agenzia del Territorio (circolare 4/2006, 6/2012) sia la giurisprud­enza si sono occupate del trattament­o catastale: la prima per affermarne l’obbligo di accatastam­ento (in forma autonoma o come variazioni di preesisten­ti unità immobiliar­i); la seconda talvolta si è adeguata alla posizione dell’Agenzia, più spesso ha invece accolto i ricorsi che ne sostenevan­o l’irrilevanz­a sul piano cata- stale, specie in virtù dell’assimilazi­one alle «opere di urbanizzaz­ione primaria» (articolo 86, comma. 3 del Codice delle comunicazi­oni elettronic­he).

Con il decreto legge Sblocca Italia del 2014 sembrava che la questione fosse risolta a favore di questa seconda interpreta­zione, essendo stabilito che le infrastrut­ture Tlc costituisc­ono opere di urbanizzaz­ione primaria.

La Corte di Cassazione però con la sentenza 24026/2015 in materia di Ici (si veda «Il Sole 24 Ore» del 26 novembre 2015) ha di recente sposato la tesi del Fisco. Invero, la Suprema corte non ha minimament­e affrontato il punto che il decreto legge Sblocca Italia mirava a risolvere e, con scarna motivazion­e, ha de- ciso per l’accatastam­ento dei ripetitori di telefonia mobile nella categoria D. L’articolo 12, comma 2 del decreto legislativ­o 33/2016 rimette ordine: non solo le reti ad alta velocità in fibra ottica, ma tutte le infrastrut­ture comprese negli articoli 87-88 Cce, da chiunque possedute, sono da considerar­si beni diversi dalle unità immobiliar­i in base al Dm 28/98 e per questo esclusi dall’accatastam­ento e dai tributi che ne conseguono (Imu, Tasi, Ici a suo tempo).

Ciò che rileva, infatti, non è tanto l’autonomia funzionale e reddituale di queste infrastrut­ture - e neppure la destinazio­ne a interesse collettivo per cui in passato sono state talvolta classifica­te nella categoria E/3 - ma il fatto che il legislator­e ne riconosca una «pubblica utilità», analoga per esempio a quella delle fognature o della rete idrica. La norma, peraltro, dovrebbe avere portata interpreta­tiva, visto che, secondo la relazione illustrati­va, rappresent­a un «chiariment­o» volto a esplicitar­e quanto già previsto dal Cce.

Natura questa confermata dalla sua collocazio­ne sistematic­a, nell’articolo 12 tra le «disposizio­ni di coordiname­nto», dove al comma 1 si ribadisce che in caso di discordanz­e prevalgono le norme del Cce.

Per effetto, il Fisco e gli enti locali non solo dovranno escludere dall’accatastam­ento le nuove infrastrut­ture di telecomuni­cazione, ma anche rinunciare alle pretese di accatastam­ento già avanzate.

CAMBIO DI INDIRIZZO La norma dovrebbe indurre il Fisco e gli enti locali ad abbandonar­e le procedure e i contenzios­i già aperti

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