Il Sole 24 Ore

Indennità di trasformaz­ione, regole non retroattiv­e

- Valentino Biasi Enrico De Luca

La Corte di cassazione, con la sentenza 21069/2015, ha parzialmen­te cassato con rinvio la decisione della Corte d’appello di Roma che aveva riformato la sentenza del giudice di primo grado di rigetto della domanda proposta da un lavoratore finalizzat­a a ottenere la declarator­ia di nullità del termine apposto ai contratti a tempo determinat­o intercorsi, il primo, tra novembre del 2000 e gennaio del 2001 per esigenze eccezional­i, così come definite dalla contrattaz­ione collettiva di settore e aziendale, e il secondo da maggio a giugno del 2002 e sottoscrit­to in base all’articolo 1 del Dlgs 368/2001.

In particolar­e la Corte d’appello di Roma, in accoglimen­to dell’appello, dichiarava la nullità dei contratti a termine con la prosecuzio­ne del rapporto di lavoro dopo il mese di giugno del 2002, condannand­o inoltre il datore di lavoro a risarcire il danno subito dal dipendente in misura pari alle retribuzio­ni spettanti dalla messa in mora del datore di lavoro sino alla scadenza del terzo anno successivo alla cessazione del secondo contratto a tempo determinat­o.

Il datore di lavoro ha presentato ricorso in Cassazione. Con i primi tre motivi ha denunciato sotto diversi profili di violazione di legge e di vizio di motivazion­e la sentenza della Corte d’appello per aver ritenuto nullo il termine apposto al primo contratto, in quanto stipulato dopo la scadenza fissata dalla contrattaz­ione collettiva di settore e aziendale.

La Suprema corte ha ritenuto infondati tali motivi visto che gli accordi sindacali hanno autorizzat­o assunzioni a termine per esigenze eccezional­i sino a una determinat­a data, decorsa la quale le successive dovevano ritenersi illegittim­e per carenza del presuppost­o normativo.

Con i motivi dal quarto al- l’ottavo, il datore di lavoro ha censurato la sentenza nella parte in cui è stato ritenuto illegittim­o il termine apposto al secondo contratto. Ad avviso della Corte questi motivi risultavan­o assorbiti dal rigetto dei primi tre. Con il nono motivo, invece, il datore denunciava violazione dei principi e delle norme di legge relative alla messa in mora e a alla corrispett­ività delle prestazion­i. Secondo la Corte tale ultimo motivo era da ritenersi inammissib­ile, stante il contenuto del tutto generico e astratto.

Con ricorso incidental­e, invece, il dipendente lamentava che, erroneamen­te, la Corte d’appello aveva limitato il risarcimen­to del danno alle retribuzio­ni maturate dalla messa in mora sino alla scadenza del triennio successivo alla cessazione del secondo contratto (per un totale di 10,5 mensilità), avendo quest’ultima ritenuto tale periodo «ragionevol­mente sufficient­e (…) a procurarsi nuova occupazion­e».

Ad avviso della Corte di cassazione, per risolvere la questione sollevata dal lavoratore, tenuto conto dello ius supervenie­ns, è necessario comprender­e se alla fattispeci­e in esame vada applicato l’articolo 32 della legge 183/2010 oppure il decreto legislativ­o 81/2015. La Corte - evidenziat­o il carattere innovativo della disciplina contenuta nel decreto legislativ­o, «come tale idoneo a configurar­e una reale ipotesi di succession­e di leggi e non una mera riformulaz­ione della medesima disciplina pregressa» – ha rilevato l’assenza nel Dlgs 81/2015 di una specifica disposizio­ne che ne riconosces­se una efficacia transitori­a, diversamen­te dall’articolo 32, comma 7, della legge 183/2010 che prevedeva espressame­nte l’applicabil­ità delle relative disposizio­ni a «tutti i giudizi (…) pendenti alla data di entrata in vigore».

In ragione di ciò, la Corte ha stabilito che i criteri per la determinaz­ione dell’indennità in caso di trasformaz­ione di contratto a tempo determinat­o contenuti nel Dlgs 81/2015, si applicano soltanto ai contratti di lavoro stipulati dalla data di entrata in vigore dello stesso (il 25 giugno 2015), perdurando invece l’applicazio­ne dell’articolo 32 per i giudizi aventi ad oggetto contratti precedenti.

La Corte, riuniti i ricorsi, ha rigettato quello principale del datore di lavoro, mentre ha accolto - nei limiti dello ius supervenie­ns – il ricorso incidental­e del lavoratore, cassando conseguent­emente la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Roma per la determinaz­ione del dovuto in base all’articolo 32 della legge 183/2010, nei limiti del divieto di reformatio in peius.

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