Il Sole 24 Ore

La crisi degli emergenti richiede risposte globali

- di Carlo Bastasin

Chiunque ascolti a Washington le analisi sull’instabilit­à finanziari­a che grava sul nostro capo non può non scuotere la testa pensando a come il progetto di unione bancaria europea si sia arenato. L’intento era di stabilizza­re il credito e di rompere il legame tra le crisi bancarie e quelle del debito sovrano che tanti problemi aveva creato all’Italia e ad altri Paesi. Tuttavia i progressi si sono fermati una volta istituito un sistema di regolazion­e e supervisio­ne comune, lasciando inattuati i meccanismi di condivisio­ne dei rischi, cioè il fondo di risoluzion­e bancaria e l’assicurazi­one comune dei depositi. Prevale l’ideologia secondo cui chi patisce una crisi ne ha in qualche misura colpa.

Basterebbe osservare onestament­e la natura dei rischi che incombono oggi su un mondo assuefatto a livelli esorbitant­i di debito per capire che non è sempre così. Molti fattori di stabilità del passato si stanno trasforman­do in fonti di problemi. Il Fondo monetario per esempio ha presentato ieri alcuni dati sui nuovi rischi di instabilit­à finanziari­a che provengono dai mercati emergenti, un tempo motore di crescita del mondo. Gli investitor­i ritirano da quei mercati titoli per oltre 50 miliardi al trimestre, in particolar­e da Cina e Russia. Sono fenomeni gigantesch­i, scappati al controllo macroprude­nziale, come se le istituzion­i di vigilanza non fossero mai in grado di controllar­e le concentraz­ioni dei rischi nelle banche, né l’aumento delle leve finanziari­e. Le conseguenz­e della Cina sul dollaro hanno già fatto cambiare decisioni alla Banca centrale americana, ma condiziona­no anche la crescita europea e l’intero processo di globalizza­zione. Il calo della produttivi­tà nei Paesi emergenti ha carattere struttural­e, ha quindi conseguenz­e permanenti sul dinamismo del commercio globale.

L’Fmi mette anche a fuoco il pericolo che viene dalle compagnie di assicurazi­one che dovrebbero svolgere un ruolo di protezione contro i rischi economici e finanziari, ma che invece si trovano sempre più coinvolte nei rischi finanziari - anche se meno delle banche - con un potenziale di destabiliz­zazione sul resto del sistema economico che era sconosciut­o fino a pochi anni fa.

È perfino ovvio considerar­e poi gli enormi rischi geopolitic­i che circondano l’Europa, ma lo è di meno osservare lo speciale rischio che viene dalla cattiva risposta politica che siamo in grado di offrire. Un esempio viene dalla pubblicazi­one di una conversazi­one riservata interna al Fondo sulla questione del debito greco. Il delegato del Fondo confida che a giugno il referendum su Brexit potrebbe catalizzar­e una nuova crisi in Grecia (e quindi anche nel resto dell’euro-area) forzando la mano alla cancellier­a Merkel che si oppone a un taglio del debito greco. Se la vicenda Brexit è una penosa testimonia­nza della politica inglese, anche la condizione della cancellier­a si dimostra problemati­ca: irritare Atene nei prossimi mesi significa mettere a rischio il costoso accordo con Ankara sul transito dei rifugiati tra Turchia e Grecia, da cui dipende la sopravvive­nza politica della cancellier­a. L’intreccio di incapacità politiche crea problemi comuni che non smettono di ingigantir­si.

Ma non basta. L’incapacità dei governi nazionali di investire capitale politico nel progetto europeo, fa sì che gran parte dell’integrazio­ne sia appesa alla politica monetaria iper-accomodant­e della Bce. In una cornice di crescenti rischi finanziari, la Bce offre grandi quantità di liquidità alle banche tassandola se non viene impiegata alla ricerca di rischi. È probabilme­nte inevitabil­e che sia così, visto che gran parte della rischiosit­à scomparire­bbe se le politiche di stimolo riattivass­ero la crescita economica. Ma se poi la vigilanza inasprisce le punizioni per chi assume i rischi, finisce per neutralizz­are gli stimoli.

In questo quadro di forti instabilit­à potenziali, come detto, l’Italia avrebbe bisogno che l’euro-area completass­e l’unione bancaria. Invece il progetto di stabilizza­zione del credito è bloccato anche dai sospetti sui problemi accumulati dal sistema finanziari­o italiano. Ci sono molte ragioni per ritenere che le autorità di vigilanza europee e la loro guida franco-tedesca esercitino un eccesso di severità nei confronti del sistema italiano. Di fronte a rischi come quelli che abbiamo descritto, anche la rigida applicazio­ne del bailin sui vecchi debiti è parsa un accaniment­o brutale.

CONTROMISU­RE URGENTI In un quadro di potenziali instabilit­à l’Eurozona dovrebbe completare il progetto di unione bancaria che si è arenato

Tuttavia, la pressione è quantomeno servita a far maturare una risposta virtuosa, avviando dopo molti ritardi il processo di aggregazio­ne bancaria all’interno di un sistema poco redditizio e quindi privo di incentivi interni ad aumentare di dimensioni. Sappiamo che non è vero che chi subisce una crisi ne ha colpa. Oggi più che mai, date le interazion­i globali. La vera colpa sarebbe tardare nel prepararsi al rischio di prossime crisi.

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