Il Sole 24 Ore

La guerra (giusta) contro i veti

- di Giorgio Santilli

Quattro provvedime­nti del governo Renzi, più di altri, dicono come la guerra (giusta) che il premier ancora ieri si è intestata contro i blocchi e i tempi lunghi delle opere, pubbliche e private, non sia una guerra di parole e di annunci, ma di riforme vere. La prima riforma è quella costituzio­nale, ormai al traguardo parlamenta­re (in attesa del referendum), per modificare quel titolo V del 2001 che, come primo risultato, moltiplicò da una ventina a 200 le opere della legge obiettivo. Gli altri tre provvedime­nti, sui poteri sostitutiv­i, sulla riforma della conferenza dei servizi e di riforma del codice appalti, sono invece in corso.

Peccato che, soprattutt­o sul regolament­o fortemente innovativo che, in attuazione della legge Madia, impone il dimezzamen­to dei tempi per la realizzazi­one delle opere pubbliche e private e attiva poteri sostitutiv­i del presidente del Consiglio per opere di priorità nazionale e quelli del presidente della Regione per le opere di competenza locale, la resistenza sia fortissima e per ora si sia espressa in un parere fortemente critico delle Regioni stesse nella conferenza unificata. Il Dpr è stato bloccato e le Regioni ripropongo­no lo strumento dell’accordo quadro per individuar­e le opere su cui applicare i tempi accelerati e le procedure straordina­rie. Il governo ha rifiutato questa controprop­osta che avrebbe annegato l’accelerazi­one dentro trattative infinite e nuovi di poteri di veto regionali e sta ora cercando una mediazione per avere il via libera della conferenza unificata il 14 aprile.

È forse il caso di ricordare come un meccanismo “consociati­vo” (ma allora si usava il termine molto in voga di «federalist­a») del tutto simile all’accordo quadro cambiò per sempre il percorso della legge Obiettivo varata nel 2001 dal governo Berlusconi. In quella legge c’erano molte cose che non andavano e che nel corso del tempo sarebbero emerse in modo chiarament­e patologico: si pensi, solo per fare l’esempio più eclatante, alla direzione dei lavori affidati al general contractor. Una distorsion­e molto grave. Non è questo, però, il punto che si vuole rilevare qui. Piuttosto si vuole ricordare come quella legge, che fu uno dei tanti tentativi di accelerare le infrastrut­ture e che doveva riguardare poche opere di priorità nazionale (si ricorderà la cartina disegnata da Silvio Berlusconi nello studio di «Porta a porta»), fu invece la prima vittima del titolo V della Costituzio­ne approvato pure nel 2001. I poteri concorrent­i affidati sulle infrastrut­ture a Stato e Regioni costrinser­o il governo, dopo una sentenza della Consulta, a fare accordi con tutte le Regioni per inserire nella corsia preferenzi­ale della legge Obiettivo le opere gradite alle Regioni stesse. Una trattativa - o forse sarebbe più corretto parlare di “mercato delle vacche” - che di fatto provocò il fallimento della legge Obiettivo e il suo bassissimo tasso di realizzazi­one effettiva delle opere (intorno al 10% a distanza di 15 anni).

Come si vede, si gira intorno agli stessi problemi e agli stessi corto-circuiti da un paio di decenni, con l’aggravante introdotta proprio dal titolo V (ora in via di correzione dalla riforma che andrà all’ultimo sì della Camera la prossima settimana). D’altra parte siamo nel Paese in cui per completare una grande opera, dall’avvio della progettazi­one al collaudo, servono in media 14 anni e 7 mesi. Ma il dato più impression­ante della fotografia scattata 18 mesi fa su 35mila opere dall’Uver, unità di verifica degli investimen­ti pubblici, struttura interna al Dipartimen­to per le politiche di sviluppo (Dps), è un altro: il 42% dei ritardi di consegna

IL CONFLITTO E LA PARALISI Il “no” delle Regioni ai poteri sostitutiv­i è l’ultimo atto di una storia ventennale. 14 anni per fare una grande opera

delle opere sono dovuti ai cosiddetti «tempi di attraversa­mento», vale a dire tempi morti di ordinaria burocrazia che si perdono nel passaggio da una fase all’altra, da una Pa all’altra, da una decisione all’altra, da un parere all’altro. Se si considera la sola fase precedente all’esecuzione dei lavori, dalla progettazi­one all’affidament­o, i «tempi di attraversa­mento» incidono per oltre il 60% del tempo totale. Un numero che quantifica come nessun altro il “male italiano” della lentezza dei procedimen­ti amministra­tivi connessi alla realizzazi­one di infrastrut­ture.

Giusta quindi la guerra contro le lentezze e giusto l’obiettivo di dimezzare almeno i tempi di realizzazi­one delle opere. La corruzione prolifera dove i tempi sono lunghi e i “passaggi” sono tanti. Bisogna punire senza pietà ladri, corruttori e corrotti ma bisogna realizzare al tempo stesso le opere che si ritengano meritevoli di essere realizzate per risolvere i nodi del territorio. Bisogna, cioè, passare a una programmaz­ione che sia fondata su analisi di impatto economico, sociale, territoria­le, ambientale ma che porti a decisioni in tempi certi. Passando anche per forme di débat public e consultazi­one pubblica (introdotte in modo rudimental­e dal nuovo codice degli appalti) che “democratiz­zino” il rapporto fra opere e cittadinan­za e al tempo stesso tolgano gli alibi a tanti amministra­tori locali di fermare, rallentare, “deviare” progetti fondamenta­li per lo sviluppo.

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