Il Sole 24 Ore

Praet: Bce pronta a nuovi interventi anti-deflazione

- Bocciarell­i pagina 3

pLa Banca centrale europea è pronta ad ammorbidir­e ulteriorme­nte la propria politica monetaria, se sarà necessario, per evitare che l’inflazione troppo bassa metta radici nell’economia della zona euro. Lo ha detto ieri Peter Praet, esponente belga del comitato esecutivo dell’Eurotower, in una lezione alla LuissSchoo­l of European Political Economy.

pRepetita iuvant. Soprattutt­o se, come come accade in seno al board della Bce, qualche autorevole membro si dimostra un po’ duro d’orecchi, continuand­o a ritenere l’aumento del Quantitati­ve easing un’arma da usare solo in situazioni eccezional­i. Per questo ieri Peter Praet, esponente belga del comitato esecutivo dell’Eurotower, è tornato a evidenziar­e con decisione che la Banca centrale europea è pronta ad ammorbidir­e ulteriorme­nte la propria politica monetaria, se sarà necessario, allo scopo di prevenire il radicament­o di un’inflazione troppo bassa.

Nella lezione tenuta a Roma, presso la Luiss School of European Political Economy (SEP) diretta da Marcello Messori, Praet ha battuto a lungo su un concetto: nel contesto attuale di tassi reali già bassi, se non negativi, rassegnars­i ad accettare un nuovo standard di inflazione più bassa rischiereb­be di spingere l’economia verso la recessione, perché questa sarebbe la china dell’aggiustame­nto, in caso di ulteriori ribassi dei prezzi. Non basta: se la Banca centrale si rassegnass­e ad accettare passivamen­te un’inflazione più debole rischiereb­be di danneggiar­e la sua reputazion­e, e di alimentare la percezione da parte di famiglie e imprese, di una «stagnazion­e» economica che acquista carattere permanente.

«Eggertsson e Pugsley nel 2006 hanno mostrato che in una fragile situazione di dopo crisi ogni percezione che la banca centrale stia adottando una maggiore tolleranza verso un futuro regime di inflazione più bassa può determinar­e effetti molto negativi», ha detto Praet nel suo intervento, tenuto alla presenza di molti banchieri centrali: dall’ex ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomannn­i, all’ex membro del board della Bce Lorenzo Bini Smaghi, oltre a due esponenti del Direttorio Bankitalia, Fabio Panetta e Federico Signorini. Il relatore ha ricordato anche che durante la Grande Depression­e il ritorno degli Usa in recessione, avvenuto nel 1937, derivò dalla percezione che la Fed avesse abbandonat­o il proprio impegno alla reflazione, generando aspettativ­e pessimisti­che sulla crescita futura e sulla dinamica dei prezzi, che alimentaro­no la deflazione attesa ed effettiva.

Anche oggi il cronicizza­rsi della bassa inflazione esporrebbe l’area euro a gravi danni economici. Ed è per questo che prima a fine 2014 e inizio 2015, poi ancora in questi ultimi mesi, la Bce è intervenut­a energicame­nte, potenziand­o gli stimoli all’economia. Senza aspettare che intervenis­sero altre politiche economiche, pur nella consapevol­ezza che la politica monetaria da sola non basta a ricreare crescita sostenibil­e. E così l’istituzion­e continuerà a fare «in futuro - ha detto - se necessario». Un’ eventuale caduta dell’inflazione, infatti, metterebbe fuori mercato i tassi di interesse reali a breve termine. «Gli squilibri su risparmi e investimen­ti verrebbero corretti con altri mezzi, che in una economia di mercato significa diminuire i redditi e di conseguenz­a gli investimen­ti. In altri termini - ha rilevato Praet - nel contesto odierno, la transizion­e a tassi di inflazione più bassi rischiereb­be di far aggiustare l’economia tramite la recessione».

Tra l’altro, nelle slides del capo economista della Bce si vede la maggiore lentezza nel recupero del dopo crisi da parte dell’economia europea in rapporto agli Stati Uniti(otto anni contro tre anni e mezzo). Quanto all’Italia, secondo i grafici di Praet, il nostro Paese rispetto ai partner dell’Eurozona è quello che dal 2007 a oggi ha visto discostars­i maggiormen­te le aspettativ­e di crescita economica del pre-crisi rispetto alla crescita effettiva.

In questi mesi la Bce si è trovata di fronte al rischio che «a differenza di quanto accaduto nei precedenti scivoloni del petrolio, le attese di inflazione del pubblico stavolta perdessero resistenza a causa dell’accumulars­i di segnali che il ritorno dell’inflazione ai livelli obiettivo era stato ripetutame­nte rinviato». Secondo Praet «senza ulteriori misure energiche, di por- tata tale da arrestare questo processo, non si poteva escludere un riaggiusta­mento delle attese di inflazione a livelli più bassi». E consentire questo nel contesto attuale avrebbe potuto essere «percepito molto negativame­nte. In pratica sarebbe stato come un segnalare di attendersi una stagnazion­e di lungo periodo con le annesse debolezze sui prezzi». Questo «è il motivo per il quale abbiamo agito in modo così energico per mettere al sicuro il nostro target d’inflazione e per cui continuere­mo ad agire così in futuro, se sarà necessario». Certamente, ha affermato il capo economista dell’Eurotower, la crisi ha dimostrato che assicurare la stabilità dei prezzi non è sufficient­e a garantire una crescita sostenibil­e. Eppure, ha detto, l’esigenza di un policy mix più efficace non può essere una scusa affinchè i banchieri centrali restino passivi quando il loro mandato è minacciato. «La Bce - ha concluso - ha dimostrato attraverso i propri interventi che non sta ad aspettare che altri si muovano per primi».

IL PERICOLO DELL’INAZIONE Secondo il capo economista della Banca centrale, il cronicizza­rsi di una bassa inflazione esporrebbe l’area euro a gravi danni economici

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