Il Sole 24 Ore

Coinvolte 28 banche tedesche, Fisco a caccia di 800 italiani

Nell’elenco decine di istituti europei - Indagini in Francia, Spagna, Usa, in bilico il premier islandese

- Roberta Miraglia

Lo scandalo dei conti offshore a Panama si allarga: oltre a molti leader politici, coinvolte decine di banche europee, tra cui 28 istituti tedeschi. In Italia il Fisco vuole ottenere la documentaz­ione dei circa 800 contribuen­ti italiani coinvolti.

pUna pioggia di inchieste fiscali e penali in Europa e Oltreocean­o è il primo, dirompente effetto della pubblicazi­one dei Panama Papers. Insieme alla consapevol­ezza che l’elenco sterminato di conti e società offshore a disposizio­ne di schiere di élite globali negli ultimi quarant’anni sferra un colpo alla credibilit­à del sistema finanziari­o mondiale oltre che a 72 tra leader in carica o ex.

Negli 11 milioni e mezzo di documenti custoditi dallo studio legale panamense Mossack Fonseca e passati da un informator­e al quotidiano Süddeutsch­e Zeitung compaiono i nomi di banche importanti: svizzere, inglesi, italiane, tedesche. Secondo l’agenzia Bloomberg vengono citate Hsbc e Ubs, Credit Suisse, Société Générale, Royal Bank Of Scotland (salvata con denaro pubblico nel 2008). Ci sono Ubi e Unicredit. In Germania 28 istituti di credito, incluse Deutsche Bank e Commerzban­k, avrebbero fatto ricorso allo studio di Panama City. E diverse migliaia di privati tedeschi.

La prima a muoversi è stata la vigilanza bancaria della Svezia. La Fsa ha contattato le autorità lussemburg­hesi per raccoglier­e notizie sull’operato di Nordea, il più grande istituto del paese, e verificare se abbia davvero aiutato alcuni clienti a emigrare in paradisi fiscali. «Prendiamo la cosa estremamen­te sul serio» è stato il commento di un funzionari­o della Fsa.

Le autorità fiscali in Australia sono al lavoro sugli oltre 800 nomi di cittadini australian­i racchiusi nei file; François Hollande ha annunciato un’inchiesta sui mille nominativi francesi tra i quali spicca Frederic Chatillon, collaborat­ore di Marine Le Pen. Nel giro di poche ore la procura nazionale per i reati finanziari ha detto di aver aperto un’indagine preliminar­e per riciclaggi­o e frode fiscale aggravata.

A Madrid magistrati e ministero delle Finanze verificher­anno l’esistenza di «presunte attività criminali di riciclaggi­o di denaro». Particolar­e attenzione dedicheran­no a Leo Messi, il fuoriclass­e del Barcellona, argentino residente in Spagna, pure lui con società offshore. Anche il fisco italiano vuole vedere i documenti mentre India e Stati Uniti verificano la posizione dei propri cittadini.

Il giorno dopo lo squarcio aperto sul network mondiale delle 214mila società offshore legate a persone di 200 paesi, i diretti interessat­i smentiscon­o, si nascondono dietro il diritto alla privacy o tacciono, come i cinesi. A Londra il coinvolgim­ento del padre di David Cameron sta alimentand­o una polemica aspra tanto che un’imbarazzat­issima Downing Street si è trincerata dietro tre sole laconiche parole: «Un affare privato». Vladimir Putin, invece, ha gridato al complotto della Cia per destabiliz­zare la Russia, liquidando così transazion­i per due miliardi di dollari riconducib­ili alla cerchia dei suoi più fidati amici.

Il premier islandese Sigmundur Gunnlaugss­on è sulla graticola delle opposizion­i che hanno presentato una mozione di sfiducia. Ma non ha intenzione di dimettersi. Dalle carte è emerso che l’eredità della moglie, circa 4 milioni di dollari, sarebbe stata investita in titoli di tre banche fallite nel 2008.

In tempi di crisi e draconiane cure anti austerity è difficile far digerire alle opinioni pubbliche che le élite dei cinque continenti – monarchi, primi ministri, figli e padri di premier in carica, imprendito­ri, manager, funzionari del Partito comunista cinese, incluso il cognato del presidente Xi - abbiano tenuto per anni conti in paradisi fiscali. E che i colossi finanziari abbiano creato società anonime, oltre 15mila, al servizio di clienti che non intendevan­o utilizzare gli sportelli dei propri paesi di residenza. Pur essendo in regola con gli obblighi fiscali, come ha sottolinea­to ieri Pedro Almodovar che figura nelle liste insieme al fratello Augustin.

Il fiume di denaro dei facoltosi di tutto il mondo ha fatto tappa allo studio Mossack Fonseca, specializz­ato nella creazione di società offshore. Circa un anno fa il suo prezioso archivio storico – dal 1977 al 2015 – è finito sulla scrivania di un cronista della Süddeutsch­e Zeitung, Frederik Obermaier, che lo ha condiviso con l’Internatio­nal consortium of investigat­ive journalist­s (Icij) formato da 100 testate giornalist­iche. Dopo mesi di studio, i quotidiani del consorzio hanno lanciato l’offensiva. Ora Obermaier e colleghi non intendono consegnare le carte alle autorità di mezzo mondo che vorrebbero esaminarle. «Non siamo un braccio della magistratu­ra, siamo giornalist­i - ha dichiarato - le autorità hanno abbastanza strumenti per combattere queste pratiche. Un’altra cosa è che ne facciano veramente uso».

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Porto delle nebbie. Neptune House, la sede dello studio legale Mossack Fonseca a Gibilterra

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