Il Sole 24 Ore

La Regione Basilicata obbliga a rimettere le acque nel giacimento

- Di Jacopo Giliberto

pL’Eni è obbligata, pena sanzioni, a fare ciò che le è vietato, pena sanzioni. Accade nel Centro oli di Viggiano (Potenza) coinvolto dall’inchiesta della magistratu­ra.

Una delle accuse è che l’Eni ha reiniettat­o nel sottosuolo le acque di scarico dell’impianto di Viggiano. Farlo è reato.

Al tempo stesso l’autorizzaz­ione ambientale Aia impone all’Eni di reiniettar­e nel sottosuolo le acque di scarico dell’impianto di Viggiano. Non farlo è reato.

Sembra il “paradosso del comma 22” sulla procedura impossibil­e («Chi è pazzo può essere esentato, chi chiede di essere esentato non è pazzo»).

Una delle accuse per le quali sono stati arrestati sei dipendenti del Centro oli Val d’Agri dell’Eni è avere pompato nel giacimento Costa Molina 2 le acque sporche di risulta degli impianti petrolifer­i.

L’accusa è di avere modificato i codici europei Cer sui rifiuti in modo da non far risultare come rifiuti pericolosi gli scarichi dell’impianto.

In tutti i giacimenti del mondo è normale che, insieme con il petrolio, dal pozzo esca anche l’acqua che per milioni d’anni ha dormito nel giacimento con quel petrolio.

Tolto dalla miscela il petrolio, quell’acqua — contaminat­a da una convivenza petrolifer­a naturale durata ère geologiche — in genere viene ripompata nel giacimento per tornare a dormire nel suo letto per altri milioni d’anni.

Questa prassi serve anche a non lasciare troppo vuoto il giacimento, cioè ad aumentarne la pressione interna per facilitare l’uscita del greggio dalla roccia che ne è impregnata.

Come funziona la normativa italiana? In genere, se il ciclo di estrazione e immissione è continuo e a circuito chiuso, senza interruzio­ni, quelle acque sono considerat­e come scarichi; quando ci sono interruzio­ni in cui l’acqua sporca di petrolio viene a contatto con il mondo esterno diventa rifiuto.

Il Codice dell’ambiente (legge 152 del 2006) all’articolo 104 dice che è vietatissi­mo scaricare acque nel sottosuolo. Ma è consentito farlo (con regole ben precise) nei giacimenti geotermici, nelle miniere, nelle gallerie, nei giacimenti di metano o petrolio. «Le Regioni possono autorizzar­e lo scarico di acque risultanti dall’estrazione di idrocarbur­i - dice il Codice dell’ambiente - nelle unità geologiche profonde

IL DESTINO DELLE ACQUE L’impianto «è stato allestito in funzione della reiniezion­e in unità geologica profonda nel pozzo denominato Costa Molina 2»

da cui gli stessi idrocarbur­i sono stati estratti ovvero in unità dotate delle stesse caratteris­tiche che contengano, o abbiano contenuto, idrocarbur­i, indicando le modalità dello scarico».

E la Regione Basilicata aveva definito proprio questa modalità.

L’11 marzo 2011 con la delibera 313 la Regione ha concesso all’Eni la nuova Aia, cioè l’autorizzaz­ione ambientale integrata all’esercizio dell’impianto di Viggiano secondo le regole europee. Cento pagine di specifiche tecniche a cui l’impianto dell’Eni è tenuto ad attenersi. Se non lo fa, se svicola questi obblighi imposti dalla Regione, l’Eni incorre in un reato grave contro l’ambiente.

A pagina 50 delle specifiche tecniche imposte all’Eni la Regione Basilicata dispone quanto segue: «L’impianto di trattament­o delle acque di processo è stato allestito in funzione della reiniezion­e in unità geologica profonda nel pozzo denominato Costa Molina 2, associate al greggio e ad esso separate».

Il paradosso del comma 22 dell’esenzione ai pazzi potrebbe essere adeguato a quanto sta succedendo a Viggiano.

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