La Regione Basilicata obbliga a rimettere le acque nel giacimento
pL’Eni è obbligata, pena sanzioni, a fare ciò che le è vietato, pena sanzioni. Accade nel Centro oli di Viggiano (Potenza) coinvolto dall’inchiesta della magistratura.
Una delle accuse è che l’Eni ha reiniettato nel sottosuolo le acque di scarico dell’impianto di Viggiano. Farlo è reato.
Al tempo stesso l’autorizzazione ambientale Aia impone all’Eni di reiniettare nel sottosuolo le acque di scarico dell’impianto di Viggiano. Non farlo è reato.
Sembra il “paradosso del comma 22” sulla procedura impossibile («Chi è pazzo può essere esentato, chi chiede di essere esentato non è pazzo»).
Una delle accuse per le quali sono stati arrestati sei dipendenti del Centro oli Val d’Agri dell’Eni è avere pompato nel giacimento Costa Molina 2 le acque sporche di risulta degli impianti petroliferi.
L’accusa è di avere modificato i codici europei Cer sui rifiuti in modo da non far risultare come rifiuti pericolosi gli scarichi dell’impianto.
In tutti i giacimenti del mondo è normale che, insieme con il petrolio, dal pozzo esca anche l’acqua che per milioni d’anni ha dormito nel giacimento con quel petrolio.
Tolto dalla miscela il petrolio, quell’acqua — contaminata da una convivenza petrolifera naturale durata ère geologiche — in genere viene ripompata nel giacimento per tornare a dormire nel suo letto per altri milioni d’anni.
Questa prassi serve anche a non lasciare troppo vuoto il giacimento, cioè ad aumentarne la pressione interna per facilitare l’uscita del greggio dalla roccia che ne è impregnata.
Come funziona la normativa italiana? In genere, se il ciclo di estrazione e immissione è continuo e a circuito chiuso, senza interruzioni, quelle acque sono considerate come scarichi; quando ci sono interruzioni in cui l’acqua sporca di petrolio viene a contatto con il mondo esterno diventa rifiuto.
Il Codice dell’ambiente (legge 152 del 2006) all’articolo 104 dice che è vietatissimo scaricare acque nel sottosuolo. Ma è consentito farlo (con regole ben precise) nei giacimenti geotermici, nelle miniere, nelle gallerie, nei giacimenti di metano o petrolio. «Le Regioni possono autorizzare lo scarico di acque risultanti dall’estrazione di idrocarburi - dice il Codice dell’ambiente - nelle unità geologiche profonde
IL DESTINO DELLE ACQUE L’impianto «è stato allestito in funzione della reiniezione in unità geologica profonda nel pozzo denominato Costa Molina 2»
da cui gli stessi idrocarburi sono stati estratti ovvero in unità dotate delle stesse caratteristiche che contengano, o abbiano contenuto, idrocarburi, indicando le modalità dello scarico».
E la Regione Basilicata aveva definito proprio questa modalità.
L’11 marzo 2011 con la delibera 313 la Regione ha concesso all’Eni la nuova Aia, cioè l’autorizzazione ambientale integrata all’esercizio dell’impianto di Viggiano secondo le regole europee. Cento pagine di specifiche tecniche a cui l’impianto dell’Eni è tenuto ad attenersi. Se non lo fa, se svicola questi obblighi imposti dalla Regione, l’Eni incorre in un reato grave contro l’ambiente.
A pagina 50 delle specifiche tecniche imposte all’Eni la Regione Basilicata dispone quanto segue: «L’impianto di trattamento delle acque di processo è stato allestito in funzione della reiniezione in unità geologica profonda nel pozzo denominato Costa Molina 2, associate al greggio e ad esso separate».
Il paradosso del comma 22 dell’esenzione ai pazzi potrebbe essere adeguato a quanto sta succedendo a Viggiano.