Le «zavorre» sul credito fra Npl, aumenti e regole
pPer le banche italiane stare in Borsa di questi tempi è come essere sballottati da un imprevedibile ottovolante. Si sale, si recupera il bimestre nero gennaio-febbraio, per poi riprendere la strada della brusca discesa. Basti pensare che dall'11 marzo scorso, picco del recupero, l'indice Ftse bank ha perso il 18%, ripiombando ai minimi da due mesi a questa parte. E dal 23 marzo dall'annuncio della fusione Bpm-Banco Popolare la caduta dell'intero indice bancario è stata del 10%. A trainare all'ingiù proprio le due banche che andranno a nozze: ieri un’altra seduta pesante per Bpm e Banco che hanno ceduto rispettivamente il 4% e il 7,3%, portando il calo dall'annuncio del matrimonio a un -18% per la Bpm e a un -26% per il Banco. Qui è intuitivo che pesi l'aumento di capitale da 1 miliardo chiesto a Verona dalla Bce e propedeutico alle nozze. Ma il malessere coinvolge l'intero settore. UniCredit pur nel lungo elastico delle performance del trimestre, ha un saldo negativo del 41% da inizio anno; Ubi è scesa del 48%; Carige e il Monte dei Paschi non escono dall'angolo buio con valori più che dimezzati in tre mesi. Ma che dire di banche assai più solide e con i requisiti patrimoniali abbondantemente sopra il livello di guardia? Intesa che darà un dividendo da 2,4 miliardi; ha prodotto l'utile pre-imposte più alto dal 2007; ha un Cet1 oltre il 13% segna un -25% da inizio anno. E pure il Credem che da anni ha sofferenze che sono meno della metà delle altre banche è reduce da una discesa a tre mesi del 15%. Come si vede il mercato pur con le dovute distinzioni tende a gettare al vento l'intero settore. La paura principe è quella annosa: la zavorra dei prestiti malati. Ma a questa evidentemente se ne sono aggiunte, a torto o a ragione, altre. Una riguarda eventuali future penalizzazioni sul peso dei titoli di Stato in portafoglio; altre più prossime sono rappresentate dallo sguardo occhiuto della Vigilanza che ha impsto la ricapitalizzazione per dare l’ok alle nozze e che per il mercato rischia di divenire prassi nel caso di altre fusioni. E poi c’è il tema del salvataggio della Vicenza e di Veneto Banca che vedono UniCredit e Intesa coinvolte in una fase in cui le condizioni di mercato sono andate via via peggiorando. Dulcis in fondo c’è il tema di quanto le banche più esposte al credito (Italia in testa) soffriranno sul fronte del margine d’interesse dai tassi a zero. Un punto su cui ieri gli analisti di Mediobanca Securities hanno puntato i fari abbassando le valutazioni sull’intero settore europeo. I margini di interesse saranno certamente sotto pressione per lungo tempo e questo impatterà inevitabilmente sugli utili. Non solo ma peserà un atteggiamento ancora più stringente dei regolatori che tenderanno a chiedere più capitale. In particolare alle banche italiane dove i fattori di incertezza sono superiori. «I messaggi regolatori confusi arrivati dall'Italia» - tra cui vengono citati il meccanismo di risoluzione, la bad bank, la valutazione degli npl, gli aumenti di capitale funzionali alle integrazioni - hanno creato un nuovo paradigma specificamente relativo al'Italia, scrivono gli analisti di Mediobanca secondo quanto riporta Radiocor. Che si spingono oltre ipotizzando la tesi che «Gli npl ci sembrano una comoda scusa per imporre oggi capitale più elevato in vista di quello che noi vediamo come il tema caldo di domani cioè l’esposizione delle banche ai titoli di Stato come ostacolo chiave verso la mutualizzazione Ue». Chissà se sarà davvero così. Un altro fronte caldo, quello dei BTp in pancia alle banche italiane, di cui di certo nessuno tra i banchieri sente il bisogno di aprire. Nè ora nè mai.