Il Sole 24 Ore

Renzi: i pm di Potenza mai a sentenza

«Nessun attacco ai magistrati ma facciano presto» - L’affondo della sinistra: non sei all’altezza come leader

- Emilia Patta

pMichele Emiliano, il governator­e della Puglia antitrivel­le che pure precisa di non essere «uno della minoranza», che usa parole simili a quelle del M5S quando giustifica così il suo no alla mozione del segretario del suo partito: «Le sue argomentaz­ioni sul referendum e sull’emendament­o Tempa Rossa ricalcano pedissequa­mente quelle delle aziende petrolifer­e e non tengono invece conto degli interessi dei cittadini e dei territori». Poi Gianni Cuperlo che con toni a lui inusuali accusa «Matteo» di non essere all’altezza del suo ruolo: «Non ti stai mostrando all’altezza del ruolo che ricopri, ti manca la statura del leader anche se coltivi l’arroganza del capo». E infine Roberto Speranza che, oltre a condivider­e il giudizio di Cuperlo sulla leadership («la tua segreteria è stata del tutto insufficie­nte»), boccia l’emendament­o Tempa Rossa difeso da Matteo Renzi e Maria Elena Boschi («per noi quell’emendament­o era sbagliato e in commission­e lo avevamo tolto») e affonda il dito nella piaga dicendosi «molto turbato dall’indagine degli ultimi giorni. Non mi riferisco solo alla telefonata e a Tempa Rossa, ma alla vicenda Eni, a pozzi che estraggono petrolio da anni con il rischio di un disastro ambientale da non dormirci la notte».

Alla fine la “resa dei conti” annunciata dallo stesso Renzi nella direzione del Pd di ieri non c’è stata, perché il premier e segretario del Pd ha preferito glissare e anche nella replica più che all’interno si è rivolto all’esterno. Ma le parole di Cuperlo e Speranza, oltre al “no” messo a verbale nel voto finale da due ex segretari del partito come Pier Luigi Bersani e Guglielmo Epifani quando altre volte si erano limitati a uscire pri- ma della conta, sono lì a testimonia­re che il clima interno è sull’orlo dell’esplosione. Tanto da far dire a un politico acuto come il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni che «da parte della minoranza del Pd emerge una concezione proprietar­ia del partito... Diciamoci le cose per come stanno, o almeno per come le vedo io: non riusciamo a liberarci dall’idea che l’attuale leader del Pd sia in qualche modo un intruso». Come a dire: c’è dell’altro. E cioè che la minoranza approfitta del caso Guidi e della posizione di non voto espressa dalla segreteria del Pd sul referendum anti-trivelle del 17 aprile per far partire il suo assalto a Largo del Nazareno prima del possibile successo del referendum di ottobre sulle riforme costituzio­nali.

Ma quando le argomentaz­ioni, a parte i toni, non sono dissimili da quelle messe nero su bianco dai grillini nella loro mozione contro il governo sul caso Guidi (l’inchiesta sul petrolio «svela l’operato di un articolato e consolidat­o “comitato d’affari”» e la posizione di Renzi e dei ministri è «incompatib­ile con delicati incarichi», si legge nella bozza che verrà depositata oggi in Senato), il campanello d’allarme che scatta è generale. Quindi inutile contrattac­care la minoranza, più utile parlare all’opinione pubblica. Ed è così che, lontani i tempi in cui Berlusconi invocava «il legittimo impediment­o» per sottrarsi alla giustizia, Renzi incalza di magi- strati di Potenza a «fare velocement­e i processi» e ad «arrivare a sentenza». Mentre il premier e segretario del Pd parla, Maria Elena Boschi è ancora al ministero delle Riforme per essere ascoltata come persona informata dei fatti sull’emendament­o Tempa rossa (si veda pagina 5). E come la sua ministra , Renzi rivendica la scelta del governo di sbloccare il giacimento lucano, «bloccato dai tempi del muro di Berlino», e respinge al mittente le accuse di servilismo verso le lobby e le multinazio­nali. «La priorità del governo è sbloccare le opere pubbliche e private e se è reato sbloccare le opere, io sono quello che sta commettend­o un reato... Gli schiavi delle lobby sono altri visto che noi abbiamo fatto la legge sui reati ambientali e siamo pronti a votare il conflitto d’essi». Poi la difesa di Eni: «Vogliamo cedere alla cultura per cui chi crea ricchezza è cattivo, brutto e va allontanat­o? Penso alla Basilicata: bisogna mandar via Eni, mandiamo via la Fiat, facciamo una grande operazione imprendito­riale e viviamo di decrescita felice? Ci sono gas e petrolio in Italia e sono orgoglioso della qualità della ricerca italiana. Qualcuno vorrà chiudere Gela e la Basilicata, io no. Per Eni non sarebbe un problema perché ha fatto investimen­ti nel mondo».

Da qui, dunque, il ribadire l’indicazion­e del non voto al referendum del 17 aprile, che significa continuare a far funzionare gli impianti esistenti fino a esauriment­o. Come peraltro ripete uno che proprio renziano non si può definire, Romano Prodi. «La mia posizione sul referendum è un po’ meno dura di quella di Prodi, che ha parlato di un suicidio del Paese», ribadisce Renzi. La conta finisce come prevedibil­e 98 a 13. E come prevedibil­e lo scontro interno al Pd non cesserà per questo.

IL PREMIER «Se è reato sbloccare opere, sono io quello che lo commette. Per me fa reato chi infrange il codice penale, non chi utilizza il diritto parlamenta­re»

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Alla direzione Pd. Il presidente del Consiglio e segretario del partito Matteo Renzi

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