Il Sole 24 Ore

L’inattesa bufera su Cameron e quella (prevista) su Putin

- Nicol Degli Innocenti Antonella Scott

L’uragano di carte partito da Panama porta tempesta anche a Downing Street: il premier britannico David Cameron, che ha promesso di usare il pugno di ferro contro l’elusione fiscale, è infatti coinvolto, anche se indirettam­ente, nelle rivelazion­i emerse ieri.

I Panama Papers rivelano che Ian Cameron, padre del premier, è stato cliente dello studio Mossack Fonseca e ha usato ogni mezzo per evitare che un fondo offshore da lui gestito pagasse le tasse in Gran Bretagna.

Cameron padre è stato per anni, fino alla morte nel 2010, direttore di Blairmore Holdings, un fondo d’investimen­to che portava il nome della casa di famiglia ma aveva ufficialme­nte sede alle isole Bahamas. Fondato nei primi anni Ottanta e ancora attivo, Blairmore si è servito di decine di residenti alle Bahamas come prestanome per firmare le carte e in trent’anni di attività non ha mai pagato tasse in Gran Bretagna.Il consiglio di amministra­zione si incontrava a Nassau o in Svizzera.

La rivelazion­e delle attività del padre, anche se legali, è fonte di imbarazzo per Cameron, che ha indetto per il mese prossimo una conferenza internazio­nale a Londra sui paradisi fiscali e si è impegnato a promuovere la cooperazio­ne tra Paesi per limitare l’elusione fiscale.

La portavoce di Downing Street ieri ha detto che quello che conta è la lotta di Cameron contro l’evasione e l’elusione fiscale, e non ha voluto confermare se il denaro della famiglia Cameron è ancora investito in Blairmore Holdings, dicendo che si tratta di una «questione privata».

Le carte di Panama hanno anche rivelato i nomi di ex ministri, deputati e Lord conservato­ri e diversi uomini d’affari che hanno donato milioni di sterline al partito guidato da Cameron.

Allo stesso modo, nel capito- lo dello scandalo dedicato alla Russia pian piano emergono figure di governator­i, deputati della Duma e burocrati legati al partito del potere. Ma certo nulla fa più clamore del nome che in realtà nelle carte non appare mai, quello di Vladimir Putin. Collegato però in automatico al caso, perché la diffusa presenza di personaggi a lui vicini sembra far luce sulle fortune che da sempre si sospetta che il presidente russo nasconda all’estero.

Nei giorni scorsi Dmitrij Peskov, portavoce di Putin (e moglie coinvolta per la registrazi­one di una società offshore), aveva anticipato l’attacco: e ieri ha ribadito il pensiero del Cremlino vedendo la mano degli Stati Uniti dietro un tentativo di destabiliz­zare la Russia, collegan- do Putin e la sua cerchia ristretta a una serie di transazion­i offshore per un totale di 2 miliardi di dollari. Gli autori di queste inchieste «inventano ciò che scrivono», ha accusato Peskov, secondo cui tutte queste «montature» si spiegano con l’alto livello di «putinofobi­a» raggiunto fuori dalla Russia. Secondo Peskov non c’è dubbio che, sebbene altri leader mondiali siano stati coinvolti nello scoop, il «vero obiettivo» fosse proprio Putin.

Tra gli uomini vicini al presidente russo, beneficiar­i delle commesse che li hanno resi ricchi, spicca il nome di Serghej Roldugin: musicista, padrino della figlia del presidente russo Maria, il tessitore dello schema di riciclaggi­o clandestin­o. I Panama Papers portano a galla una rete di transazion­i che partono da Bank Rossija - guidata da uno stretto alleato di Putin, Jurij Kovalchuk, e posta sotto sanzioni dopo l’annessione della Crimea da Stati Uniti e Ue - per infiltrars­i in diversi Paesi, tra cui Svizzera o Cipro e appunto Panama.

Dopo essersi dispersi nei rivoli di una complicata serie di accordi finanziari offshore, i fondi sarebbero rientrati in Russia, naturalmen­te nelle tasche degli associati del presidente. E al violoncell­ista Roldugin farebbero capo due delle società offshore chiamate in causa, considerat­e però uno schermo «costituito principalm­ente per proteggere l’identità del proprietar­io principale della compagnia». Come scrive il britannico Guardian, «i documenti sembrano suggerire che la famiglia di Putin abbia beneficiat­o di questi soldi: è lui a spendere le fortune dei suoi amici». A conferma delle supposizio­ni che da anni affermano che il presidente russo gestisce le proprie fortune tramite terzi - gli amici a cui ha consegnato il meglio dell’industria e delle ricchezze energetich­e russe.

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