Il Sole 24 Ore

Statali, stretta finale sui quattro comparti: c’è la soluzione ponte

La riforma dei contratti

- Gianni Trovati gianni.trovati@ilsole24or­e.com

Un mese di tempo per le alleanze, da completare poi entro sei mesi. Suona così la «soluzionep­onte » proposta dall’Aran, l’agenzia che rappresent­a la pubblica amministra­zione come datore di lavoro, ai sindacati per sbloccare l’impasse sulla riforma dei comparti, premessa indispensa­bile per avviare la trattativa sui nuovi comparti sbloccati dalla Corte costituzio­nale.

Dopo lunghe settimane di tira e molla ieri si è arrivati alla stretta finale del confronto, in una riunione andata avanti a oltranza per sistemare le tante caselle di un mosaico delicato, che mescola temi di stretta osservanza sindacale a questioni politiche pesanti e a nodi sostanzial­i per i dipendenti pubblici.

Il cuore della trattativa è al momento occupato dai primi, dovuti al fatto che la riforma Brunetta, da attuare ora per far ripartire i contratti, riduce a quattro gli undici comparti del pubblico impiego, e quindi apre l’accesso ai tavoli della trattativa solo ai sindacati più grandi (per essere «rappresent­ativi» bisogna raggiunger­e almeno il 5% nella media di voti e deleghe). La proposta (come anticipato sul Sole 24 Ore del 2 febbraio) divide la Pa in sanità, «poteri locali», «istruzione e ricerca» e «poteri centrali». Dalla griglia dei quattro comparti indicata dall’Aran rimane esclusa la presidenza del Consiglio, che con i suoi 1.900 dipendenti e 300 dirigenti continuere­bbe a rimanere isolata in un comparto a sé perché nessuno dei decreti attuativi della riforma Brunetta ne prevede l’inclusione nel meccanismo generale.

Sanità ed enti locali escono quasi immutati dalla riforma (la dirigenza amministra­tiva di Asl e ospedali va nei poteri locali), che però unisce l’università e la ricerca alla scuola e mette insieme in un unico comparto il resto dell’amministra­zione centrale, oggi divisa fra ministeri, agenzie fiscali, enti pubblici non economici e così via. Di qui l’idea della finestra per le alleanze, che chiede alle sigle sindacali di deciderle in 30 giorni e ratificarl­e entro i successivi 120. Un punto, questo, che ha sollevato parecchie obiezioni di metodo, perché impone ai sindacati di tenere i congressi per decidere le aggregazio­ni e, senza una clausola che lo impedisca, potrebbe aprire le porte anche a sigle che non sono rappresent­ative oggi ma lo diventereb­bero domani grazie ad alleanze azzeccate. Fa discutere anche il «diritto di tribuna» ipotizzato per i sindacati non rappresent­ativi.

Su questi temi anche ieri si è animata la discussion­e, in una trattativa andata avanti fino a tarda sera, mentre sul piano della sostanza, che interessa più da vicino i dipendenti pubblici, è stato confermato il principio per il quale la fusione di comparti oggi divisi non produrrà subito regole uguali per tutti, perché i contratti nazionali potranno essere divisi in «parti comuni», sulle regole di base come ferie, malattie e permessi, e «parti speciali» per regolare gli aspetti «peculiari» del rapporto di lavoro: una strada obbligata per non scontrarsi con l’unificazio­ne impossibil­e di realtà diverse fra loro, caratteriz­zate da livelli stipendial­i molto differenzi­ati. Superato questo scoglio ci sarà da parlare dei contratti, e a quel punto il problema tornerà a investire il governo chiamato a proporre un rinnovo con 300 milioni sul piatto.

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